
Un cavolo a forma di globo, con foglie carnose, gambi coriacei e striature violacee. Ma non è un cavolo qualunque. È il Cavolo Trunzo di Aci, una varietà autoctona di cavolo rapa, tipica del territorio di Acireale e dei comuni limitrofi alle pendici dell’Etna, dal sapore intenso, leggermente dolce e con un tocco più aromatico, sapido e fresco. Ricco di minerali e vitamine, in particolar modo le vitamina B6 e C9, ha una forte azione detossificante e di prevenzione nell’insorgere di forme tumorali. Da non trascurare anche il suo basso apporto calorico: solo ventisette calorie per cento grammi di prodotto e la sua sostenibilità, perché del cavolo non si butta via niente.
Legato ad un territorio e all’unicità del suolo lavico dell’Etna, il nome racchiude una curiosa storia cittadina e linguistica. La prima, ci riporta al periodo della dominazione spagnola in Sicilia (dal 1400 fino al 1700 ), durante la quale è probabile che iniziò la diffusione del Cavolo Trunzo, fino a raggiungere il massimo della sua popolarità a fine Settecento, al punto che Goethe ne parlò nel suo Viaggio in Sicilia. Il legame con gli spagnoli, che in Sicilia introdussero alcune colture orticole e tecniche agricole e selezionarono diverse varietà autoctone, non è solo storico ma linguistico. Trunzo, secondo alcuni, deriva dallo spagnolo “trompicar”, ossia “inciampare”, per via della consistenza fibrosa che si percepisce alla masticazione. Altri ipotizzano che si riferisca allo spagnolo “troncho” (ceppo, gambo), richiamando la forma ingrossata del fusto. Ma il dibattito linguistico si nutre anche di costume e società. Trunzo è infatti il soprannome locale – significa “testa dura”- riferito dai catanesi scherzosamente agli abitanti di Acireale e sancito nell’espressione latina “Aci babbana civitas trunzorum cavolorumque magna mater est” (Acireale città sciocca è la grande madre dei cavoli trunzi).
Dietro questo epiteto si nasconde una storia di resistenza che ha salvato il cavolo trunzo dal rischio di estinzione sin dagli anni quaranta. È la storia dei piccoli produttori come Enzo Pennisi, responsabile del Presidio Slow Food dedicato al Cavolo Trunzo delle Aci, che promosso il prodotto e la sua coltivazione e che oggi insieme a due produttori, Salvatore Marino, produttore e capofila dell’ATS Cavolo Trunzo delle Aci e Giovanni D’Avola, porta avanti la valorizzazione della coltura del Cavolo Trunzo del Aci con la speranza di incrementare la filiera.
Piccoli produttori con grandi ambizioni e un progetto promosso dall’ ’ATS Cavolo Trunzo, insieme all’Università di Catania, che mira a valorizzare atri territori produttivi fuori dalle Aci, come Adrano e Milo, a creare un marchio di qualità europeo avviando anche l’industria della trasformazione e lavorazione.
Durante i tre cicli colturali, primavera, inverno, estate, si raggiunge una produzione di circa ventimila piantine l’anno che trova sbocco prevalentemente nel mercato locale e regionale. Ancora troppo poco per fare uscire il cavolo trunzo fuori dai confini nazionali.
Metti un cavolo in cucina
Il cavolo trunzo ha un’anima culinaria dalle radici contadine, le cui ricette sono entrate a pieno titolo nella storia del ricettario di ogni famiglia che gravita intorno all’areale di produzione. La più classica è l’insalata fresca di foglie e torsoli di cavolo trunzo, condita con olio e limone o la “pasta co’ trunzu” e il cavolo cotto stufato (stufateddu),
La missione “salvate il cavolo trunzo dall’estinzione” non è solo dei produttori delle Aci ma anche degli chef, ambasciatori del territorio e di questa coltura, che mostra una grande versatilità in cucina.
Simone Strano, executive chef del ristorante I Faraglioni del Grand Hotel Faraglioni di Acitrezza, in questa stagione presenta “Primavera – estate su Acitrezza” con lenticchie nere di Ustica, ragù di crostacei, spuma di cavolo trunzo, alghe limone e caffè. Lo chef Mario Casu di Casu Osteria contemporanea, utilizza l’ortaggio di Aci nella sua “Tartare di cavallo con maionese all’acciuga e insalatina di cavolo trunzo”. Paladino del Cavolo Trunzo è anche Saro Grasso della trattoria 4 Archi di Milo e il suo iconico “Arancino con cavolo trunzo e caciocavallo ragusano”. Salvo Sardo, chef di Alloro (Acireale, in provincia di Catania), valorizza la sostenibilità del prodotto, trasformando le foglie in clorofilla e chips per dare nuova vita a tutto l’ortaggio.
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