Giacomo Bartolommei, 33 anni, enologo e responsabile export di Caprili, l’azienda di famiglia nata nel 1965 a sud-ovest del territorio del comune di Montalcino, è il nuovo presidente del Consorzio di tutela del Brunello. Eletto all’unanimità dal nuovo consiglio di amministrazione all’inizio di giugno, succede a Fabrizio Bindocci. Lo abbiamo incontrato nel corso dell’ultima edizione di Red Montalcino, la manifestazione che ha la missione di rilanciare il Rosso della denominazione.
La prima domanda è: chi glielo ha fatto fare?
A me piace raccogliere le sfide (sorride, ndr). All’inizio non volevo candidarmi. Poi in tanti, soprattutto tra le aziende più piccole, mi chiedevano di restare e continuare: sono entrato nel cda nel 2019 e sono stato vicepresidente nel triennio di consiliatura precedente. C’è stata una convergenza sul mio nome e… è finita male (sorride di nuovo, ndr).
Lei è il più giovane presidente nella storia della denominazione e tra i più giovani in Italia in questo ruolo: una bella responsabilità. Come vive e come vede questo ricambio generazionale?
Il ricambio generazionale nelle aziende di Montalcino è già in atto da anni. Forse al consorzio non era ancora arrivato il momento giusto. Questo ricambio porta un vantaggio non indifferente perché apre le menti di tutti quanti. Se mi sono candidato è perché credevo che ci fosse bisogno di qualche aggiustamento. L’obiettivo di questo cambio è tornare a far parlare di Montalcino. Soprattutto promuovere il Rosso di Montalcino più di quanto sia stato fatto nel passato.
Ha parlato di ‘aggiustamenti’: che cosa intende precisamente?
Per esempio, dobbiamo tornare a investire sugli Stati Uniti, ma dobbiamo pure reinvestire sul mercato in Italia e in Europa, realtà che negli ultimi anni non abbiamo presidiato abbastanza.
Qualcuno in passato ha detto che questo passaggio di consegne avrebbe potuto premiare le donne. Ma non è andata così. Come se lo spiega?
Non so dare una risposta chiara. Le donne candidate per il consiglio sono state tante. Poi alla fine il consiglio elegge il presidente. Le donne in consiglio ci sono (Cristina Mariani di Banfi, Alessandra Angelini di Altesino e Violante Gardini Cinelli Colombini di Casato Prime Donne) e si sono fatte avanti, ma nessuna di loro si è candidata.
Ha detto che di pari passo con il ricambio generazionale dovrà esserci il rilancio del Rosso di Montalcino. Quali sono le prospettive del fratello più piccolo del Brunello? Cosa gli è mancato finora?
In primo luogo, serviva creare una base quantitativa solida. Mancava un numero sufficiente di bottiglie per esportarlo. Nel corso della consiliatura precedente il vigneto del Rosso di Montalcino è stato ampliato di 364 ettari, portando la superficie totale della denominazione a 519,7 ettari. Obiettivo: aumentare la potenzialità del rosso, creargli un appeal.
L’incremento, che rappresenta un aumento del 60% della superficie vitata, è stato assegnato a 271 aziende, con l’obiettivo di raddoppiare la produzione potenziale di Rosso di Montalcino, raggiungendo circa 3 milioni di bottiglie aggiuntive. Eviterà così di restare schiacciato dal Brunello?
In passato, molte bottiglie di Rosso di Montalcino venivano da una parte di Brunello. Scindere le sorti del Rosso da quella del Brunello è la base della nuova comunicazione. È un vino più fresco, giovane, dinamico, pensato per un pubblico che, al primo approccio, non vuole uno vino troppo strutturato.
Ciò significa che le attività di comunicazione per le due referenze saranno distinte?
All’estero Brunello e Rosso si muoveranno insieme, anche per un problema di costi. Per l’Italia possiamo pensare di avere due distinte manifestazioni dedicate. Non escludo di uscire dai confini della fortezza e andare a presentare il Rosso di Montalcino nelle grandi città italiane.
Il primo trimestre di quest’anno registra una difficile partenza. Diverse denominazioni lamentano una preoccupante crisi delle vendite. È lo stesso per Montalcino?
Abbiamo avuto sul Brunello un primo trimestre altalenante. Prima della minaccia dei dazi di Trump abbiamo avuto una grande esportazione di vino. Il secondo boost è arrivato dopo la pausa dei dazi: lì c’è stata un’altra ripartenza. Insomma, vendite a folate con i primi tre mesi quasi stabili, ma con un piccolo segno negativo. Aprile è stato buono, maggio sottotono. I dati sono confortanti, ma il futuro è ancora nebuloso. Nello specifico, segnalo una buona affermazione del Rosso di Montalcino anche se l’annata 2023 è stata meno produttiva per i noti motivi fitosanitari: nei primi mesi dell’anno 2025 la crescita delle fascette di stato è stata del 21%.
Si beve meno, lo dicono molti produttori. Perché secondo lei?
Si è ridotto il potere di acquisto, è evidente. E c’è un problema del comparto del vino in generale. Servono attività promozionali verso il pubblico più giovane per promuovere un consumo responsabile. Ma il problema dei costi è sotto gli occhi di tutti.
I consorzi del Piemonte hanno scritto una lettera al governo in cui denunciano l’eccesso di bottiglie invendute che si accumulano in magazzino e chiedono la distillazione in vista della prossima vendemmia. Condividete lo stesso problema?
Non sappiano come sarà la vendemmia: si prospetta buona ma con minore quantità. Le misure adottate da altre denominazioni non le ho mai viste fare a Montalcino e non credo che si faranno. I nostri produttori hanno mostrato una grande capacità di autoregolazione. Ogni anno cerchiamo di abbassare le rese, anche al di là di quanto previsto dal disciplinare, con delibera assembleare che presentiamo alla regione. Non credo ci saranno problemi.
Come affrontate la minaccia dei dazi americani. E soprattutto chi li paga?
Ogni azienda è andata a contrattazione privata, non c’è azione comune del consorzio. Finché è il 10% va bene. Molti produttori si sono accordati con i partner americani per dividere i costi a metà. Sapremo qualcosa di più il 30 luglio quando ci sarà la sentenza della Corte suprema a proposito delle cause legali contro il governo americano. Resta il fatto che l’effetto dei dazi si riversa sempre sul consumatore finale: così Trump fa un danno ai suoi stessi cittadini.
Come si dovrebbero regolare il governo italiano e le istituzioni europee?
È necessario un abbassamento dei toni da ambo i lati, anche a livello europeo. Invece che brontolare tanto dovremmo trovare una soluzione. L’Europa non dovrebbe minacciare nuovi dazi. Trump è un mercante, quindi bisogna trattare. Credo che il compromesso si possa raggiungere.
I produttori di Montalcino ci dicono che in consiglio non conoscono alcuni dei loro colleghi. Come vivete la moltiplicazione di produttori “stranieri” nella denominazione?
L’integrazione si fa senza problemi. Chi è arrivato si è integrato e ha anche portato delle novità. Non reputo negativi questi nuovi ingressi. È anche la conseguenza di mancati passaggi generazionali: quando viene meno la possibilità della famiglia di proseguire, giocoforza si registrano gli acquisti da forestieri. Non lo considero un male, ma un motivo di crescita.
L’ultimo arrivato è “Mister La Perla”, ovvero Peter Kern, vice chairman e ceo Expedia Group, che pochi giorni fa è salito alla ribalta per aver acquisito il marchio di lingerie di lusso “La Perla”.
A dire il vero, prima di essere rinominato Mister La Perla, era conosciuto proprio come il “Signor Montalcino” (sorride, ndr). Solo 15 giorni fa ha concluso l’operazione di acquisto de Lo Scalone, ma in realtà era già proprietario di piccole aziende come Palazzone e Albatreti. Del resto, Palazzone era già stata di proprietà di Richard Parsons, in passato al vertice di Time Warner. A dimostrazione del fatto che i forestieri a Montalcino sono presenti da tempo.
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