Ricarichi

"I consumi di vino sono a un punto di non ritorno: con questi prezzi si rischia effetto boomerang". L'allarme di Vinarius

Il presidente Giuliano Rossi si rivolge a produttori, distributori, enotecari e ristoratori per stringere un patto di filiera e fare tutti un passo indietro: "Un calice non può superare la soglia dei dieci euro"

  • 02 Ottobre, 2025

L’aumento dei prezzi nella ristorazione? Un danno per tutti. I giovani consumatori? Sono passati direttamente al gin-tonic. La soglia psicologica per un vino al calice? Non oltre i dieci euro. Idee precise e principi solidi quelli espressi in questa intervista al Settimanale Tre Bicchieri del Gambero Rosso da Giuliano Rossi, neo presidente dell’associazione Vinarius. Lui, romano del rione Monti, dal 2001 attivo nel mondo delle enoteche e della ristorazione con un locale nel cuore turistico di Roma, conosce bene problemi e meccanismi che hanno fatto impennare i prezzi del vino.

Nelle scorse settimane, dopo l’appello-manifesto di Assoenologi, in queste pagine hanno dato il proprio contributo professionisti del mondo Horeca e della distribuzione. Ora è il turno dell’ente che riunisce oltre 120 enoteche nazionali, che ha messo tra gli obiettivi del mandato l’incremento della base associativa nella Capitale. Il suo presidente interpreta il mestiere come una missione: «Facciamo un lavoro bellissimo ma non dobbiamo dimenticare che abbiamo il compito di formarci e formare i consumatori. Ma con questi prezzi – avverte Rossi – stiamo rischiando davvero un pericoloso effetto boomerang».

Giuliano Rossi, presidente di Vinarius dal settembre 2025

Quindi, non è colpa vostra se i vini sono così cari nel canale del fuori casa?

Non è certamente colpa dei prezzi che pratico nel mio locale. Ma se anche noi enotecari e noi ristoratori non facciamo mea culpa, allora non si va da nessuna parte. Sicuramente, nel corso di questi anni abbiamo assistito a fenomeni che ci hanno destabilizzato, come la crescita esponenziale dei listini dal lato dell’offerta di vino, con piccoli conferitori che si sono trasformati in produttori e che, conseguentemente, hanno aumentato i listini.

Perché, allora, questi clamorosi ricarichi?

Sono ricarichi che non rispecchiano l’offerta. Siamo, infatti, in un momento di sovrapproduzione e di calo dei consumi. Dobbiamo fare tutti un passo indietro.

Insomma, di chi sono le responsabilità?

Siamo tutti responsabili. E qualcosa ci è sfuggito di mano.

Intravede soluzioni?

Mai come ora, ci deve essere un dialogo più stretto tra produttori, distributori ed enotecari-ristoratori. Siamo vicini al punto di non ritorno.

Ha ragione chi parla di patto di filiera?

Si, ci vorrebbe un patto tra la filiera per abbassare un po’ i listini. E non dimenticare che l’obiettivo non deve essere solo far tornare i conti economici ma anche accrescere la cultura del vino tra i consumatori. Oggi, talvolta, è impossibile prendere un vino alla mescita nei ristoranti.

C’è una fascia psicologica oltre la quale non bisogna andare per un calice?

Tra 5 e 10 euro. E se, con due euro in più, riesco a servire anche un buon Brunello di Montalcino significa che, allo stesso tempo, sto facendo salire la qualità dei clienti del locale. Infine, se riesco a farti mangiare anche un’amatriciana ben fatta, spendendo 20 euro in tutto, allora ho fatto centro.

Nell’ultimo periodo, come sono andate le vendite alla mescita?

Da qualche anno sono in calo. Personalmente, avevo tanti vini in carta ma ho dovuto cambiare strategia, riducendo il numero di etichette. Ma, lo ripeto, se alziamo ancora i prezzi non venderemo né la bottiglia né il bicchiere di vino.

Mandiamo qualche messaggio al settore. Cosa si sente di dire ai ristoratori?

Ai ristoratori dico che è fondamentale rimettersi in gioco. E che così come è stato dedicato tanto tempo alla cultura dei piatti e alla selezione delle materie prime, la stessa cosa si deve fare con i vini. Le due cose vanno di pari passo. Inoltre, dico che bisogna comunicare di più tra colleghi e che occorre andare nei territori. Sono da dieci anni in Vinarius, perché ho capito quanto fosse bello e importante fare gli educational, girare il mondo e conoscere le storie dei produttori. Formazione e comunicazione sono fondamentali per i ristoratori.

E cosa direbbe ai distributori di vino?

Per prima cosa, direi di stare attenti soprattutto al posizionamento dei vini. Nel senso che è giusto costruire delle carte dei vini in un certo modo, inserendo vini di altri territori, ma facendo attenzione ai ricarichi. Anche nel mondo della distribuzione – e io lavoro sia con loro sia direttamente con le cantine – è necessario avere figure che sappiano suggerire i vini migliori in base al territorio, al pari degli enotecari. I distributori dovrebbero incrementare le etichette locali nelle carte dei vini. Per esempio, il Lazio è un po’ snobbato, nonostante una qualità in forte crescita.

 

Infine, ai produttori?

In questo momento, anche i produttori devono aprirsi di più al confronto, girare di più, capire e conoscere le esigenze di chi vende il loro vino. Occorre posizionare il giusto prodotto nei posti giusti. Non è certo il caso di andare verso una standardizzazione nel momento in cui, come oggi, c’è molta offerta. Questa fase di instabilità va affrontata assieme.

Se guardiamo ai prezzi del vino nel 2026, cosa intravede?

I prezzi non dovranno aumentare annualmente del 5/7 per cento, come accade ormai da qualche anno.

E se guardiamo ai giovani?

I giovani hanno cambiato abitudini e sono passati direttamente al gin tonic, che è diventato un pre-dinner. Il rischio di cui parlava il distributore Partesa proprio una settimana fa sul Gambero Rosso è alto.

Come si possono introdurre al vino?

Una soluzione è parlare dei vini di territorio, suscitando la curiosità anche a visitare le cantine. Occorre spiegare i vitigni autoctoni, accrescere la cultura della propria regione di appartenenza. Questo può essere un modo per avvicinarli. Ovviamente, sempre tenendo presente i concetti del bere responsabile.

Anche attraverso i vini no-low alcol?

I vini no alcol li ho inseriti in carta. Sono solo due bollicine e sono utili quando, ad esempio, per motivi di salute o di religione, qualcuno me li chiede. Ma non li sponsorizzo eccessivamente. Sono altra cosa rispetto al vino.

 

Forse il nodo sta nella comunicazione?

Dobbiamo raccontare storie. E, per farlo, l’enotecario e il ristoratore devono essere formati. Dietro ci deve essere un professionista, che fa assaggiare vini e li sa raccontare.

A suo avviso, il vino può uscire dal generale clima di demonizzazione?

Non è un tema facile. Dobbiamo gettare le basi per capire dove sta la linea tra abuso e consumo. Quello che è successo in questi anni, tra Organizzazione mondiale della sanità e Codice della strada, ha fatto quasi tabula rasa. E anche chi aveva una minima intenzione di bere ha rinunciato. Ora, si dovrà lavorare per riabilitare il prodotto.

Per esempio, spiegando i benefici per la salute del bere moderato.

Si, puntando anche sul fatto che la qualità dei nostri vini è salita enormemente. Ma dirò di più: il mondo del vino dovrebbe ampliare la forbice della comunicazione e dare una mano al settore dell’olio d’oliva extravergine, un’altra eccellenza made in Italy da tutelare, che può vantare proprietà salutistiche e antitumorali.

In che modo?

Se il settore del vino riuscisse a dare una mano ai produttori di olio extravergine, puntando sugli aspetti culturali e formativi, sarebbe un fatto molto importante. E, così, in enoteca e al ristorante potremmo proporre un vino e un buon olio extravergine. Ma il primo passo lo dovrebbe fare la filiera vitivinicola, considerando anche le maggiori risorse e il più ampio portafoglio clienti.

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