I numeri non mentono: nel mondo del vino, le bollicine sono quelle che tengono meglio. Tengono nei consumi, tengono nei mercati, tengono nell’immaginario. Lo ha detto anche Denis Pantini (Nomisma) in occasione dei 35 anni del Consorzio Franciacorta: «Nel 2010 solo 8 bottiglie su 100 erano sparkling, oggi sono 15. Il dato è destinato a crescere». Di fatto, gli spumanti sono l’unica tipologia cresciuta a livello globale nell’ultimo decennio. I driver del successo? Gli stessi che orientano il vino del futuro: sostenibilità, identità, salutismo.
Ma se restringiamo in Italia il campo al Metodo Classico – quindi alla seconda rifermentazione in bottiglia – la direzione si fa più precisa: meno metodo, più territorio. Il quadrilatero d’eccellenza (Franciacorta, Trentodoc, Alta Langa, Oltrepò Pavese) è entrato in una fase di consapevolezza, sebbene i numeri siano esigui rispetto allo Champagne: 38 milioni di bottiglie prodotte in Italia contro i 272 milioni dello Champagne. Le zonazioni si affinano, le cuvée raccontano sottozone, parcelle, visioni. Il legno torna in fermentazione, ma con altra mano: non per aggiungere, ma per armonizzare. Aumenta la quota di vini di riserva – sulla scia francese – mentre si attenua la deriva acida dei Dosaggio Zero spinti, una moda che ha lasciato campo a bollicine più coerenti e agronomicamente ragionate.
Cantina in Franciacorta (foto di Fabio Cattabiani)
E poi c’è la febbre del Solera, spesso più utile per contaminazione positiva che per risultati assoluti. Si beve meglio, si fa meglio, ma si comunica poco. Il paradosso italiano è tutto qui: si producono Metodo Classico da competizione, ma si consumano (e si vendono) nella loro fase più acerba. Sboccature fresche, spesso non indicate in etichetta e quasi mai in carta. Nel frattempo, nuove uve si affacciano alla ribalta: il Meunier non è più una curiosità enologica, ma una possibilità concreta con esperimenti riusciti soprattutto in Trentino e Oltrepò.
Resta il grande tema dell’export. Perché il Metodo Classico italiano, a differenza del Prosecco, continua a essere una gloria domestica, con numeri ancora contenuti fuori confine. L’ideale sarebbe un piano di promozione internazionale condiviso, con un fronte comune e un racconto plurale, capace di valorizzare le specificità di ogni area. Utopia Brut Zero.
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