
Venendo da Bolzano, si attraversa una vallata stretta con ripidi terrazzamenti sormontati da masi, chiesette e manieri medievali. Qualche curva e poi il paesaggio comincia ad aprirsi, ma il lago di Caldaro lo s’intravede a malapena fino a quando non si è a due passi dalla riva. È immerso in un oceano di vigne che serpeggiano tra colli spioventi. È il più grande della regione e l’apparenza anomala della sua superficie – quasi refrattaria alla luce – è legata alla scarsa profondità: non più di 5-6 metri. Prerogativa che lo rende anche il lago più caldo dell’arco alpino: in estate la temperatura dell’acqua può raggiungere i 28 gradi. L’effetto termoregolante plasma il clima in tutto il circondario: nel pomeriggio si solleva una brezza simile all’Ora del Garda che crea un microclima meno torrido rispetto a quello della vicina conca di Bolzano. E qui nascono etichette di Schiava particolari che ormai riescono a competere anche a livello internazionale (qui i nostri assaggi).
Vigne e boschi sul lago di Caldaro (foto di Manfred Pernthaler). In apertura foto di Helmuth Rier
Il clima è un elemento essenziale per la viticoltura che, però, è solo una delle varie attrattive che hanno reso il borgo uno dei principali poli turistici altoatesini, con una media di 700mila presenze annue. Anche un astemio non rischierebbe di annoiarsi tra pedalate in mountain bike, passeggiate tra sentieri nei boschi incuneati tra i monti, trekking a 1.400 metri sul passo della Mendola, che è collegato alla valle da una delle seggiovie più ripide e suggestive della regione. E ancora escursioni lungo torrenti e cascate nelle gole del Rastenbach, nuoto e canoa, concerti sulle rive del lago in estate, spa e wellness in strutture panoramiche che fondono design italiano e mitteleuropeo, cucina sia tipica che creativa. Eppure, senza queste vecchie pergole dai tralci contorti – una goccia di bacca rossa in un territorio sempre più a trazione bianchista – il luogo non avrebbe nemmeno lontanamente lo stesso fascino.
La bottaia di Tenuta Dominikus. Foto di Mirko Strozzega
«Il turismo ha comunque incoraggiato molti vignaioli a mettersi in proprio, facendo leva proprio sulla vendita diretta», spiega Sarah Filippi, responsabile dell’associazione Wein.Kaltern, che riunisce i produttori della zona: 26 associati, due terzi dei quali coltivano meno di 10 ettari. La quota di produttori biologici e biodinamici supera il 30%. Tutti propongono molte etichette diverse – bianchi e spumanti compresi – ma il fil rouge è sempre il Kalterersee Klassisch o Classico (Lago di Caldaro classico in italiano), rosso a base Schiava (Vernatsch), leggero per antonomasia, popolarissimo in zona e nei Paesi di lingua tedesca fino alla metà degli anni ‘80. Un vitigno, la schiava, che ha pagato a caro prezzo l’exploit dei vini massicci e muscolosi nei decenni successivi, perdendo quota in favore di bianchi e rossi da uve bordolesi. Oggi, invece, avrebbe tutte le carte in regola per riprendere il volo, ma resiste a malapena a una tendenza che, a livello regionale, ha portato all’espianto di centinaia di ettari di Schiava nel giro di pochi anni. «È un vitigno molto fragile e con una buccia sottile: ha bisogno di luoghi che non siano né troppo freddi, né troppo caldi. È giusto sostituirla con altri vitigni dove non c’è vocazione», spiega Thomas Scarzuola, enologo di Cantina Kaltern.
La bottaia di Cantina Puntay (foto di Mirko Strozzega)
Se in molte parti dell’Alto Adige la Schiava produce vini gradevoli, Caldaro e gli otto comuni confinanti che rientrano nella zona con menzione Classico per il Kalterersee – diversa dalla Doc Caldaro generica, che copre una superficie fin troppo vasta – sono il luogo dove riesce più di frequente a superare lo stereotipo del rosso estremamente scarico, da mandare giù in spensieratezza nei picnic in vigna. “Sottrazione” non significa infatti per forza banalità: la delicatezza del tannino è un asset in tempi in cui tutto ciò che è troppo astringente dà problemi con una cucina sempre più leggera. L’ostacolo può essere giusto l’acidità tendenzialmente bassa, che può causare una certa piattezza di gusto. Ma i produttori riescono a ovviare a questo problema vendemmiando in anticipo, facendo molta selezione, oppure piantando il vitigno in posizioni più alte. Se in passato le zone sullo stesso livello del lago – ovvero sui 200-300 metri – erano considerate le migliori, oggi grandi risultati si ottengono anche coltivando il vitigno tra 400 e 500 metri, limite oltre il quale fa ancora fatica a maturare.
Leggerezza è sinonimo di versatilità a tavola. L’acidità garbata e il tannino quasi impalpabile rendono il Kalterersee spendibile su molti piatti anche a base vegetale con cui altri rossi fanno a cazzotti: dai semplici spaghetti al pomodoro fresco a un risotto con gli asparagi, passando per le varie preparazioni con panna acida e rafano tipiche della gastronomia altoatesina. Funziona bene anche come alternativa al bianco con ricette di pesce sostanziose, soprattutto se servito sui 14-16 gradi.
L’abbinamento tradizionale caldarese, però, è quello con la Kalterer plent, ovvero la polenta di qui fatta col mais coltivato nelle distese a sud del lago e solitamente servita con salsicce, speck e gorgonzola. I Kalterersee più freschi e sgrassanti riescono a sposare anche la versione tradizionale – molto impegnativa – ma la ristorazione locale tende a riproporre il piatto in versione alleggerita o rivisitata, per esempio con funghi o verdure, oppure sotto forma di canederli o chips.
L’associazione Wein.Kaltern non riunisce solo i viticoltori: ne fanno parte diversi artigiani, tra cui un macellaio che utilizza il Kalterersee per aromatizzare il salame. E poi ci sono i ristoratori, che spesso sono anche produttori di vino (o vicerversa). Per esempio la cantina Ritterhof ospita una locanda con vista sul lago che propone piatti altoatesini rivisitati, con un’attenzione particolare a prodotti locali come il pesce d’acqua dolce e gli asparagi selvatici. Nel centro di Caldaro, Spuntloch occupa gli ambienti storici dell’azienda Peter Sölva; propone sia cucina vegetale che un grande frigo da cui pescare carni altoatesine da cuocere sulla griglia in pietra lavica. La vineria di Castel Sallegg serve piatti semplici e aperitivi con taglieri e tapas.
Fuori dalle cantine, Seehofkeller ha una bella terrazza vista lago e una sala interna ricavata all’interno di una vecchia bottaia. In carta paste ripiene, canederli, gulasch di cervo, ma anche qualche proposta da fuori zona e di mare. Pochi chilometri a nord di Caldaro, nel borgo di Appiano sulla strada del vino, lo chef Herbert Hintner è uno dei pionieri del chilometro zero in regione. Gestisce due insegne: il fine dining Zur Rose, stella Michelin e due forchette nella guida ristoranti d’Italia 2025, e l’Osteria Plantzegg sulla piazza del mercato, dove serve piatti più semplici che mescolano ingredienti altoatesini e mediterranei.
Sull’invecchiamento del Kalterersee i produttori si spaccano: c’è chi pensa che dia il meglio appena dopo l’uscita e chi, invece, sostiene che con il riposo in bottiglia migliori. La ragione sta nel mezzo: di circa 20 vini con qualche anno sulle spalle assaggiati di fianco a quelli in anteprima, nessuno ha mostrato cenni di ossidazione, ma solo la metà erano davvero più interessanti dell’ultima annata in commercio o del campione di botte della 2024. Tra tutti segnaliamo Der Keil 2019 di Manincor, Plantaditsch 2021 di Klosterhof e Vigna Bischofsleiten 2021 di Castel Sallegg: più capaci degli altri di scrollarsi di dosso l’esuberanza vinosa senza perdere freschezza e guadagnando qualcosa in definizione aromatica. Probabilmente si presterebbero anche ad abbinamenti più ostinati… ma hanno funzionato benissimo con una fetta di salame al vino sul pane e una vista sulle vigne intorno al lago all’imbrunire.
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