Una recente indagine dell’Hbsc (progetto internazionale dell’Organizzazione mondiale della sanità) ha evidenziato che il 29% dei giovani attorno ai 15 anni consuma almeno una volta alla settimana alcole, raramente vino, più frequentemente i cosiddetti alcolpops, ovvero dei mix di succhi di frutta e superalcolici, molto più subdoli nei confronti della dipendenza. Bere è “figo” e aiuta un giovane a superare gli enormi problemi di sfiducia e di disistima dell’età puberale, una sorta di rito di passaggio. Il vino viene quindi consumato per ottenere, attraverso i binge drinking, la trasgressione tipica dell’età adolescenziale.
In questo periodo, l’”analfabetismo delle emozioni” esprime un deficit a cogliere i cambiamenti in atto nella società sempre più “liquida”, dove circola troppa informazione, dove per il destinatario diventa difficile estrarre significati che abbiano per lui un effettivo valore. A cominciare dai giovani.
Chi meglio di un corso di cultura e civiltà del vino, a partire dalla scuola primaria, ma che deve anche coinvolgere la formazione professionale degli addetti alla ristorazione, può identificarsi in questo decalogo di intenzioni? Naturalmente, è necessario un progetto formativo per realizzarlo. Scriveva Baudelaire: «Il vino è simile all’uomo: non si saprà mai fino a che punto si può stimare e disprezzare, amare o odiare, né di quante azioni sublimi o fatti mostruosi è capace». Solo la cultura e la conoscenza possono fare la differenza.
Quando, agli inizi degli anni ’80, Masquelier, professore all’Università di Montpellier, affermava che l’alcol del vino è come un albero che nasconde la foresta, intendendo con questo il luogo comune che identifica il vino nel suo componente principale (dopo l’acqua), l’etanolo, e che impedisce, così, di valorizzare le proprietà salutistiche di centinaia di composti in esso presenti. In quel periodo, l’opinione pubblica francese si schierava contro i pericoli dell’abuso di alcole, ritenuto dalla maggioranza dei medici, soprattutto gastroenterologi ed epatologi, responsabile di gravi dismetabolie.
Anche i sociologi urbani vedevano nel consumo precoce di vino nei giovani un fenomeno sociale che aveva pesanti ripercussioni su delinquenza ed abbandoni scolastici. La Francia aveva, peraltro, conosciuto i problemi dell’alcolismo a partire dalla fine dell’800, con la diffusione dei distillati di cereali e di vino, in coincidenza con la cosiddetta rivoluzione industriale, che aveva trasformato intere generazioni di contadini malnutriti in operai stanchi e frustrati, che trovavano nell’alcol l’unico conforto alla loro disperazione.
In questo periodo, nascono i primi movimenti antialcolici, favoriti anche dall’idea socialista, che era fortemente avversa al consumo dell’alcole nel proletariato. Purtroppo, questa assimilazione del vino all’alcole è prevalsa su quella del vino come bevanda salutare fino ai nostri giorni e solo con lo straordinario impatto mediatico del “paradosso francese” sul pubblico televisivo americano alla fine degli anni ’80, il vino (soprattutto quello rosso) è stato ricollocato tra i costituenti importanti della dieta dell’uomo moderno e al centro di uno stile definito per i suoi effetti benefici sull’incidenza delle malattie cardiovascolari, mediterraneo. A questo stile di vita, andava anche ricondotta la minore gravità del fenomeno dell’alcolismo nelle popolazioni italiane e mediterranee in genere, rispetto a quelle del nord Europa, e alla consuetudine di bere vino a tavola, in famiglia.
Il vino era allora un complemento al cibo e la sua condivisione tra giovani e adulti toglieva a questa bevanda i caratteri della trasgressione. La legge Evin istituita in Francia, nel 1991, che vietava ogni forma di pubblicità a vini, liquori e tabacco, aveva nella sua ratio l’obiettivo principale la trasformazione del vino da bevanda eccitante in uno strumento di cultura nazionale, partendo dalla formazione nella scuola primaria e secondaria. Aveva, a questo scopo, destinato risorse importanti nell’organizzazione di mostre itineranti che educavano gli studenti francesi, attraverso la descrizione dei terroir di produzione delle Denominazioni più importanti, vitigni e tecniche di coltivazione, vinificazione e distillazione e, infine, in modo interattivo, contribuivano in modo efficace alla conoscenza dei vini attraverso il loro profumo, con dei diffusori aerosol che ne riproducevano i profili sensoriali.
Queste iniziative hanno, da un lato, ridotto l’impatto negativo dell’alcole sui giovani e, dall’altro lato, hanno contribuito a far crescere l’orgoglio di appartenere (se ce ne fosse stato bisogno) a un Paese che ha fatto, in ogni tempo, del vino uno strumento importante per comunicare le sue migliori prerogative. Recentemente, attraverso una nuova proposta di legge all’Assemblea nazionale francese, sulla spinta della Associazione Vin et Societé, si sta pensando di sostituire questo strumento ormai obsoleto di comunicazione, con l’istituzione di una rete televisiva dedicata esclusivamente al vino, alla diffusione della sua conoscenza, alla discussione delle problematiche della sua produzione e del consumo.
Il professor Attilio Scienza è il coordinatore scientifico del Corso di Alta formazione
Il vino del futuro del Gambero Rosso
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