Finita lโepoca dei vitigni apolidi detti anche internazionali, coltivati ormai ovunque, i cui vini sono sempre piรน destinati alla fascia piรน bassa del mercato e della confusione generata da una pletora di denominazioni dโorigine senza tradizioni, nรฉ meriti qualitativi, ci si interroga su quale futuro dovrร attendersi la viticoltura italiana. La querelle ancora irrisolta sulla primazia del vitigno sullโambiente e viceversa, nel determinismo della qualitร di un vino appartiene ormai alla storia della viticoltura ed ha visto, fino all’”epoca dei lumi”, il prevalere del luogo di produzione su quello dei vitigni.
J. Guyot per primo, nel 1868, alle soglie della crisi fillosserica, rompe questo assioma con lโaffermazione rivoluzionaria ยซil genio del vino รจ nel vitignoยป. Il ritorno sullo scenario mondiale dei vitigni antichi o autoctoni ha riportato in auge il ruolo cruciale del vitigno nella comunicazione del vino, in unโepoca nella quale non si ha tempo per gli approfondimenti geografici e del ruolo dellโaura che ne accompagna lโorigine e la storia, nei confronti di un consumo fatto piรน con il cervello che non con il palato. Di questi vitigni ci si ricorda spesso solo il loro nome perchรฉ, curioso, vernacolare: abbiamo ormai dimenticato, a distanza di pochi anni, le sensazioni gustative del loro vino spesso prodotto con tecniche enologiche non coerenti con le caratteristiche del vitigno e la localitร sperduta dove sono coltivati. Cosa fare allora? Quale cammino intraprendere in un periodo di grandi cambiamenti nei confronti dei consumi, degli stili di vita e non ultimo del clima?
Lโelemento pervasivo in ogni scelta sia essa produttiva o di consumo รจ la globalizzazione: da molti accettata per lโapporto positivo sulla complessitร culturale e sui riscontri mercantili, da altri considerata inquietante e pericolosa e per questo rifiutata. ร opinione diffusa tra i produttori ed i consumatori che sia la maggiore responsabile della crescente banalizzazione delle caratteristiche sensoriali dei vini prodotti in tutte le parti del mondo.
Non trascurabile in questo senso anche il ruolo della comunicazione e della critica, fortemente condizionate da tipologie di vini โperfettiโ, ma senza anima e che non sanno operare quellโโelogio dellโimperfezioneโ. Imperfezione che non รจ difetto e che spesso รจ alla base di un vino controcorrente, di un vino innovativo.
Ma la globalizzazione ha operato anche in direzione opposta creando nuove occasioni per forme di viticoltura alternative, come la biodinamica, nel tentativo di mantenere espressioni di produzione di vino che le pressioni del progresso scientifico tendono a sconvolgere. Ma rivolgersi alle filosofie “new age” per produrre vino non ha molto senso, cosรฌ come rifugiarsi in una tradizione che รจ vista come lโantidoto ai mali prodotti dalla ricerca. Nulla di piรน falso perchรฉ, come dicevano Hossbawn e Ranger in Lโinvenzione della tradizione, le tradizioni sono sempre state inventate e reinventate per soddisfare gli scopi di persone che volevano, attraverso queste, legittimare il loro potere. A chi invoca il ritorno della tradizione nella produzione di vino, si puรฒ invece rispondere che il modo piรน efficace per attuarla รจ quello di un suo “tradimento fedele”.
Il paradigma interpretativo che ha mosso nei secoli il progresso viticolo รจ stato l’innovazione genetica, rappresentata dalla circolazione varietale e dalla selezione degli incroci intenzionali e spontanei.
Dopo circa quattro lustri di grande interesse per i vitigni autoctoni, da parte delle aziende viticole, della ricerca e dei consumatori, facendo un bilancio dei risultati raggiunti in termini di ricadute economiche si deve purtroppo constatare che in termini di valorizzazione dei vitigni e dei territori interessati, questi non appaiono particolarmente esaltanti, anche se si devono fare delle doverose distinzioni, che vedono alcuni vitigni (pochi) raggiungere buoni risultati ma, purtroppo, molti altri rimanere nellโoblio. ร, quindi, necessario disaggregare le considerazioni anche per meglio indirizzare gli sforzi in futuro.
In sintesi, dei mille e piรน vitigni autoctoni italiani, quelli di qualitร (almeno per la produzione di un vino destinato a un consumatore moderno) sono molto pochi, forse non piรน di un centinaio. Questo non toglie che tutti abbiano un grande valore per la conservazione della biodiversitร e per un impiego nei programmi di miglioramento genetico. Solo alcuni vitigni, sostenuti da Doc o Docg di successo, come il nebbiolo per il Barolo, Barbaresco, Valtellina o il sangiovese per il Brunello, Chianti, Nobile, per fare qualche esempio, sono in espansione.
Alcuni vitigni antichi sono stati valorizzati non per merito delle istituzioni ma per la passione di pochi viticoltori (come il timorasso da Walter Massa, il teroldego da Elisabetta Foradori, il sagrantino da Marco Caprai). Pochi sono stati i vitigni emersi dallโoblio in questi ultimi anni e che sono stati iscritti al Registro Nazionale dei vitigni autorizzati alla coltivazione, la condizione sine qua non per essere moltiplicati e piantati.
Alla base di questa complessa fenomenologia, vi รจ la polarizzazione della viticoltura italiana che รจ passata in questi ultimi anni per effetto della globalizzazione dei mercati internazionali da una realtร diffusa, rappresentata da una molteplicitร di piccole denominazioni, dove erano i vitigni autoctoni lโelemento qualificante dei loro vini, ad una viticoltura polarizzata ad imitazione di quella francese, dove cinque-sei denominazioni note soprattutto allโesteroย rappresentano gran parte del vino italiano di qualitร .
Questa opacitร nelle scelte del consumatore ha provocato la disaffezione soprattutto dei viticoltori piรน anziani, il cui reddito si รจ progressivamente eroso e che ha fatto trasferire le autorizzazioni d’impianto dalle regioni meridionali alle ricche viticolture del nord-est, dove vicino a vitigni autoctoni affermati come la glera o la corvina, sono in continua espansione il pinot grigio e i vitigni per la preparazione di vini spumanti.
In questo scenario economico-sociale, inoltre, sono mancate alcune iniziative importanti da parte dellโUniversitร , atte a valorizzare il patrimonio viticolo autoctono attraverso la ricerca viticola con la proposta di modelli di coltivazione adattati ai vitigni antichi come il controllo della produzione/ceppo, le dinamiche dei processi di maturazione, gli effetti del cambiamento climatico per di valorizzare le peculiaritร compositive di questi vitigni, spesso inadatte, come le tipologie dei tannini, lโaciditร , la stabilitร del colore, a fornire vini moderni e una enologia varietale capace, a questo riguardo, di proporre trafile di vinificazione adeguate.
Il professorย Attilio Scienzaย รจ il coordinatore scientifico delย Corso di Alta formazione
Il vino del futuroย del Gambero Rosso
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