Alzi la mano chi, nel programmare un viaggio, non abbia mai consultato guide, stelle, blog e classifiche per decidere dove andare a mangiare. In questโottica, New York non potrebbe non apparire come una meta ottimale: una cittร bella, multicolore, ricca di musei e di scorci sorprendentemente insoliti, in una parola croccante. E croccante รจ anche la sua scena gastronomica? Per guide, stelle, blog e classifiche senzโaltro sรฌ.
Situazione ovviamente aggiornata alla metร del 2019. La Michelin premia con la stella ben 76 ristoranti, di cui 15 con due e 5 con tre (per la cronaca, Chefโs Table at Brooklyn Fare, Eleven Madison Park, Le Bernardin, Masa e Per Se). La Worldโs 100 Best Restaurants 2018 mette lโ11 Madison al 4ยฐ posto nel mondo (e lโanno precedente era addirittura al primo) piรน altri quattro tra i primi 100. La classifica โrivaleโ, quella dei Top 100 de La Liste 2019 ha Le Bernardin al primo posto (sia pure in condominio con Guy Savoy) e lโ11 Madison al sesto. A un livello un pochino piรน basso, come per Coppi e Bartali, due locali newyorkesi si contendono il titolo di miglior pastrami del mondo, Katzโs e 2nd Avenue Deli. Infine, ciliegina sulla torta, la Worldโs 100 Best Restaurants, nel rilasciare con sapiente dosaggio mediatico i premi speciali del 2019, ha appena proclamato Daniela Soto-Innes la migliore cuoca del mondo: e allora, รจ proprio da qui che โdeveโ iniziare la nostra cronaca.
Daniela รจ una chef di origine messicana che da alcuni anni gestisce a New York Cosme, insieme a Enrique Olvera, e da poco conduce in proprio Atla. Con Atla siamo nel Greenwich Village, patria un poโ decaduta della controcultura di Ginsberg e Kerouac, non lontano da Washington Square e dallโUniversitร di New York. Non sorprende perciรฒ lโaspetto un poโ minimalista del locale, con un lungo bancone per i cocktail (cui, come abbiamo sperimentato, i newyorkesi dedicano spesso piรน attenzioni che al pasto vero e proprio) e tavolini concepiti per ospitare il maggior numero possibile di persone.
Nella calca, rumorosa ma a modo suo piacevole, gli assaggi sono stati un guacamole, unโaguacile (una ceviche con minor marinatura) di spigola e le enchiladas di pollo. Il primo, buono ma non indimenticabile, in cui la cosa migliore era la foglia di basilico aggiunta alla fine. La seconda, ben presentata allโinizio sotto un fiore di sottilissime rondelline di cetriolo che perรฒ, una volta spostate, mostravano i filetti di spigola adagiati sopra una salsa da un inquietante colore verde-nerastro tuttโaltro che invitante: un errore psicologico, anche se sapori ed equilibri erano in realtร ineccepibili e, in definitiva, il piatto รจ stato il migliore tra quelli assaggiati. Sicuramente meglio delle enchiladas dove il ripieno di pollo era sovrastato dal condimento, e quindi dal chili. La miglior cuoca del mondo? A parte le polemiche che il premio in sรฉ ha suscitato, espressione di un sessismo magari involontario ma dove le chef sono quasi messe in un ghetto, qualche dubbio รจ lecito, visto che anche solo in Italia Fabrizia Meroi di Laite e Iside de Cesare della Parolina (ma ciascun lettore potrebbe aggiungere un lungo elenco di nomi a suo piacimento) ci sembrano di un altro pianeta.
Passiamo allora ad uno dei templi della ristorazione della Grande Mela (e non solo). Creato da Eric Ripert piรน di ventโanni fa, Le Bernardin รจ ancora oggi unโicona di lusso e qualitร , dove la bussola รจ decisamente in direzione del mare (nonostante la recente aggiunta di un menu degustazione tutto vegetariano). Venendo dalla Quinta e girando a ovest sulla 51ma strada, ve lo trovate a metร tra il Rockfeller Center e Broadway, come a dire che piรน centrale di cosรฌ si muore. Giacca obbligatoria e prezzi stellari (alla carta, i due menu degustazione sono invece molto piรน โumaniโ, a 187 e 225 dollari, anche se sui prezzi effettivi nei locali USA faremo una precisazione).
Alle sei di sera, ora della nostra prenotazione, il locale era praticamente giร tutto pieno. Almeno unโottantina di coperti, con i tavoli sufficientemente distanziati ma dove, come si puรฒ immaginare, il vociare di sottofondo non passava inosservato. La nostra sommelier era austriaca, e si รจ quasi commossa quando abbiamo scelto uno splendido Grรผner-Vertliner del Domaine Ott (a circa 60 dollari, un ricarico tutto sommato onesto). Seguito da un Sancerre, ha accompagnato un tasting menu tutto pesce, con proposte di ottimo livello complessivo e, perchรฉ no, materie prime di pregio (e di ovvia qualitร ). A cominciare dal caviale osetra su una gelatina di dashi (un brodo di pesce di scuola giapponese) e gli scampi con spugnole e foie gras (entrambi eccellenti).
Il menu, a nostro avviso con poca eleganza, definiva poi โultra-rareโ la trota di mare affumicata, comunque intrigante con la sua emulsione di limone e miso; e proseguiva poi con un black bass accompagnato da gamberetti e calamari, unโiper-classica sogliola con mandorle, funghi, piselli e fave e unโaragosta del Maine con salsa di rosmarino al vino rosso. Buoni (lโaragosta ottima) ma consolidati, in qualche modo giร visti, dal che รจ facile capire come chi cerchi una cucina innovativa o sperimentale dovrebbe optare per altri indirizzi. Un pizzico di creativitร in piรน รจ riapparsa nel predessert – parfait di zenzero e sorbetto di ananas tostato – e infine nel dolce, un cremoso di arance bruciate, yogurt di clementine e emulsione di olio dโoliva.
Merita le Tre Stelle Michelin? Piรน sรฌ che no, anche se non รจ certo nella nostra top ten. ร il miglior ristorante del mondo? Beโ, diremmo decisamente di no: potrebbe essere per noi in una posizione entro i primi cinquanta-sessanta (il che non รจ poi un giudizio cosรฌ negativo, stiamo pur sempre parlando di una รฉlite). Scegliendo i vini con un poโ di accortezza (il trucco รจ, qui come un poโ in tutti i locali di lusso, di saltare le pagine di Champagne, Borgogna e Bordeaux), si resta entro i 300 euro e, dato il contesto, ne vale la pena. Per non prendervi arrabbiature finali, ricordatevi sempre che ai prezzi indicati dovete aggiungere lโ8,75% di tasse e almeno il 15% di tip, una mancia di fatto obbligatoria: qualcosina recuperate con il cambio con lโeuro attualmente favorevole ma, in sostanza, abituatevi ad aggiungere un 12-15% al prezzo di un qualunque menu per avere il prezzo finale ed effettivo in euro.
Due Stelle, invece, per Gabriel Kreuther, sempre origini francesi ma alsaziane e unโattenzione in piรน per terra e orto. Il ristorante, affiancato allโomonimo laboratorio di cioccolateria, si affaccia su un imprevisto angolo di verde nel cuore di Manhattan, il delizioso Bryant Park, alle spalle della Biblioteca pubblica ma, una volta entrati, del panorama resta ben poco. La prima sala รจ occupata dal solito bancone bar e dai tavoli per gli aperitivi, mentre alle cene รจ riservata la sala piรน interna, elegante ma senza strafare, con vista sulla cucina e un lunghissimo divano a semicerchio che forma la seduta piรน esterna dei tavoli.
Lโinizio non รจ esaltante, con dei benvenuti dimenticabili ma, a differenza de Le Bernardin, il prosieguo รจ invece in crescendo: fagottini di salmone, lโimmancabile foie gras impreziosito da una pralina di mandorle e una gelatina al Gwurztraminer e unโeccellente passera di mare con caviale kaluga, crema di alghe rosse e cavolfiore. Tre diverse interpretazioni di asparagi bianchi e verdi (paragonabili, nel nostro ricordo, a un mitico cipollotto allโArpรจge di Alain Passard) introducono ai due gioiellini finali, una trota cotta sul legno di cedro con sedano e salsa di champagne e un petto dโanatra di Long Island affumicato.
Poichรฉ anche i dolci sono allโaltezza, in particolare il sorbetto di piselli e carote con crumble di mandorle del predessert, con gli amici con cui condividiamo il tavolo nasce subito il dibattito se in realtร Kreuther non sia superiore al piรน noto e celebrato Le Bernardin: diciamo che se questo รจ un Tre Stelle โbassoโ Gabriel รจ un Due Stelle โaltoโ, con un confine davvero sottile. Anche qui si puรฒ bere bene senza svenarsi, un superbo Iglesia Vella de Le Roc des Anges e un Saint-Joseph Pierres Sรจches di Yves Cuilleron per un conto totale di 270 euro.
Ci aspettavamo molto dal Modern, una location di grande fascino e un Due Stelle dove, a leggere qualche recensione, la cucina dello chef Abram Bissell (succeduto a Gabriel Kreuther) sembrava meno francesizzante e piรน territoriale, insieme a una giusta creativitร . Sulla location nulla da dire. Al ristorante si puรฒ accedere direttamente dal MoMA, il museo dโarte contemporanea piรน importante al mondo (tenete presente che fino a tutto ottobre sarร chiuso per lavori di ristrutturazione): un primo ambiente come sempre per cocktail e brunch e poi la sala vera e propria, con i tavoli e le comodissime sedute disposti in modo da permettere a tutti gli ospiti di godere della vista, tramite lโenorme vetrata a tutta parete, del giardino delle sculture (con la rosa alta 11 metri della scultrice Isa Genzken).
Meno bene diremo invece del menu, dove abbiamo ritrovato (come se fossero quasi dโobbligo per gli stellati newyorkesi!) caviale, foie gras e petto dโoca: un bel mangiare, per caritร , ma non convincente, sia perchรฉ, come detto, eravamo andati per qualcosa di piรน originale (fatte le debite proporzioni, che ci potesse ricordare lโesperienza allโEleven Madison Park di un paio di anni fa), sia perchรฉ i piatti ci sono sembrati, in media, poco equilibrati. Ad esempio il caviale, nella proposta Uova su uova su uova, in cui le uova di caviale erano appunto adagiate su un tuorlo e una mini omelette: non cattivo, ma un poโ barocco, sopra le righe e, poichรฉ lo chef lโha proposto come primo benvenuto del suo menu, decisamente penalizzante per il prosieguo.
Dove il foie gras era in un non esaltante accostamento con fragole e pepe verde, il dentice insieme a un dashi affumicato e ravanelli grigliati e la spigola con un โminestroneโ, scritto in italiano sul menu ma che, per fortuna, era un mix di verdure di stagione appena scottate. Come anche lโanatra finale, accompagnata da indivia belga e basilico thailandese, tutte le proposte sono state di livello tra discreto e buono, ma senza quella marcia in piรน che ci saremmo aspettati da un Due Stelle. In compenso, ottimo e ben presentato il dessert โ una mousse di pistacchio con cioccolato e gelato -, abbordabile la carta di vini (per noi il Muscadet Orthogneiss del Domaine de lโEcu e un Crรดzes-Hermitage di Alain Graillot) e, soprattutto, il fatto che The Modern comprende giร , nei prezzi indicati sul menu, la percentuale del servizio, che quindi non va aggiunta e rende il prezzo finale meno oneroso, 175 euro circa per il menu di sei portate.
Conclusioni? Come giร รจ stato fatto osservare da altri, le โstelleโ americane sembrano un filo piรน generose di quelle europee (e sicuramente di quelle italiane). Per quello che valgono i numeri, per avere in Italia la stessa densitร di ristoranti stellati bisognerebbe comprendere tutto il Sud, dalla Campania fino alle isole (e per di piรน senza tristellati) e, pur con tutte le differenze e cautele, ci sembra una situazione decisamente squilibrata. A livello piรน personale, sulla scena newyorkese lโEleven Madison Park resta il nostro preferito (anche se non ci siamo tornati dopo la recente ristrutturazione e riapertura, raccontata anche da Netflix), mentre tutti i giovani chef italiani con cui si รจ scambiata qualche opinione โsponsorizzanoโ Cรฉsar Ramirez e il suo Chefโs Table at Brooklyn Fare, sebbene, a un prezzo medio che sembra superare i 400 dollari vini esclusi, non ce la siamo sentiti di fare da cavie!
Atla โ Usa โ New York – 372 Lafayette St – https://www.atlanyc.com/
Le Bernardin – Usa โ New York – 155 W 51st St – https://www.le-bernardin.com/
Gabriel Kreuther – Usa โ New York – 41 W 42nd St – https://www.gknyc.com/
The Modern – Usa โ New York – 9 W 53rd St – https://www.themodernnyc.com/
a cura di Dioniso Castello
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