Non esiste una ricetta dolce italiana piรน diffusa dei mostaccioli, fra i dolcetti piรน comuni in tutto il Centro-Sud e preparati, pur con le dovute variazioni regionali, un poโ ovunque. Ad accomunare quasi tutte le interpretazioni locali, lโutilizzo del vino cotto, un succo filtrato ottenuto dalla pigiatura dellโuva matura e zuccherina e cotto tradizionalmente in paioli di rame.
Un prodotto dalla storia antica, giร presente al tempo degli antichi romani, che erano soliti usarlo per dolcificare cibi e bevande: spesso si tende a pensare erroneamente che si tratti di un vino caldo e aromatizzato, una specie di vin brulรฉ, ma in realtร non รจ altro che un liquido ottenuto dalla cottura prolungata del mosto. Una pratica antica, quella dellโebollizione del mosto dโuva, raccontata anche nei trattati di agronomia di Plinio il Vecchio, che ne parla diffusamente nel suo โHistoria naturalisโ, e poi ancora nel โDe Re Rusticaโ di Columella. In tempi remoti, questa era una bevanda da gustare a fine banchetto, specialitร preziosa che nella cultura contadina rappresentava uno dei beni che la donna portava in dote. Gli agricoltori, invece, usavano il vino cotto per massaggiare braccia e gambe dei bambini cosรฌ che potessero crescere sani e forti, oltre a sorseggiarlo dopo il duro lavoro nei campi.
Particolarmente diffuso in Abruzzo e nelle Marche, il vino cotto si prepara a partire dallโuva dei vitigni locali, Montepulciano in primis, ma anche Sangiovese o Maceratino. Il mosto viene fatto bollire lentamente (in passato nei paioli di rame, materiale oggi sostituito dallโacciaio inox) per circa 10/12 ore, tempo in cui viene mescolato di continuo, eliminando di volta in volta la schiuma che si produce. Completata la cottura, il liquido – ormai concentrato – viene travasato in botti di rovere e lasciato invecchiare per almeno cinque anni. Tradizionalmente, veniva preparato in autunno, in tempo di vendemmia, con chicchi molto maturi e con una percentuale di zuccheri maggiori, e usato come dolcificante. Oltre a essere impiegato al posto dello zucchero, il vino cotto veniva un tempo utilizzato soprattutto per contrastare i malanni di stagione: un rimedio casalingo da assumere allungato con acqua e miele oppure sotto forma di decotto.
Diversi i suoi impieghi in cucina, ma il piรน popolare รจ nell’ambito della pasticceria: nei mostaccioli, una specialitร condivisa da Abruzzo, Molise, Basilicata, Umbria, Puglia e Calabria, e che conta anche una variante lombarda, i mostazzit, tipica del varesotto e del ticinese. In origine erano preparati in occasione della vendemmia con la pasta di pane, il miele, le mandorle e il mosto dโuva. Negli anni, la ricetta รจ cambiata e oggi si compone di farina, zucchero, miele, cacao, mandorle tritate, acqua e bicarbonato, vino o mosto cotto, naturalmente con le dovute variazioni regionali. La radice del nome รจ ambigua: potrebbe derivare sia dalla parola mustum, mosto, che da mustace, alloro, le cui foglie servivano ad avvolgere unโantica preparazione importata dai paesi arabi, per proteggerla durante il viaggio.
La differenza principale fra vino cotto e mosto cotto รจ minima, e sta perlopiรน nella consistenza: il mosto cotto รจ piรน denso e simile a uno sciroppo, e viene affinato per un periodo piรน breve, che di solito non supera i 24 mesi. Inoltre, รจ uno dei prodotti tipici dellโAbruzzo, nonostante venga consumato anche in altri territori.
Giร citata da Ludovico Ariosto nella โSatira IIIโ, la sapa (o saba) รจ un altro patrimonio della cultura contadina italiana, anch’esso a base di mosto cotto, tipica dellโEmilia Romagna, Marche e Sardegna, prodotta di nuovo a partire dal mosto bollito per circa 8/9 ore, a cui vengono aggiunte noci intere per non far addensare troppo il liquido e non farlo attaccare alla pentola. Il mosto viene rimescolato di continuo durante lโintero processo, finchรฉ non si ridurrร di circa i 2/3 del totale. Una volta pronto, viene fatto raffreddare e messo in botti di legno. Anche la sapa veniva impiegata in origine come dolcificante per cibi e bevande, mentre oggi viene abbinata a formaggi, insalate e nella pasticceria regionale per preparare dolci e biscotti. In particolare, non puรฒ mancare nella ricetta dei sabadoni, in passato consumati in occasione della festa di SantโAntonio il 17 gennaio, in seguito per Carnevale e oggi disponibili tutto lโanno: una sorta di raviolo dolce fritto preparato con una pasta sottile ripiena di castagne e sapa.
Capitolo a parte lo merita invece il vincotto di fichi, diffuso soprattutto in Puglia e Basilicata, dove viene aggiunto a specialitร locali come le cartellate o le pettole. Nonostante sia chiamato da sempre cosรฌ, il nome corretto รจ in realtร cotto di fichi, perchรฉ si tratta di una semplice riduzione di acqua e frutta, che non prevede lโutilizzo del mosto. Per farlo, occorre tagliare i fichi con tutta la buccia e cuocerli in acqua fino a ridurli in crema: il composto caldo va filtrato con un panno e poi cotto in una pentola per circa due ore mescolando spesso, per essere infine conservato in una bottiglia di vetro pulita e ben chiusa.
Come usare questi prodotti in cucina? Nei dolci, naturalmente, ma anche in qualche piatto salato, aggiungendoli alle salse o abbinandoli a piatti di carne strutturati, ma non solo: ecco qualche esempio, piรน la ricetta per preparare le cartellate pugliesi (nel video condite con il miele, ma perfette per lโabbinamento con il vino cotto o il cotto di fichi).
Ingredienti
Pulire con cura i cipollotti: eliminare la parte superiore piรน dura e quella esterna. Tagliarli a listarelle molto sottili e mettere da parte. Raccogliere i fiori dalla pianta di rosmarino, immergerli in acqua e asciugarli delicatamente, facendo attenzione a non romperli. In un tegame per risotti lasciar sciogliere il burro e versare i cipollotti, lasciare che appassiscano e unire il riso, salare e tostare per un minuto. Coprire completamente con il brodo vegetale (tutti i chicchi devono essere sommersi) e cuocere per 13 minuti, aggiungendo brodo se si ritira e mescolando di tanto in tanto. A fine cottura (il brodo si sarร ritirato e si sarร formata la classica cremina) spegnere il fuoco, coprire e lasciar riposare per un minuto. Mantecare fuori dal fuoco con abbondante parmigiano grattugiato e una noce di burro. Versare il riso nei piatti e completare con i fiori di rosmarino (circa un cucchiaino a piatto) e qualche goccia di sapa.
Sciogliere il lievito con un poโ dโacqua, unire la farina e un pizzico di sale e continuare a mescolare unendo acqua tiepida quanto basta per ottenere una pastella molto fluida. Battere a lungo finchรฉ il composto si staccherร dal fondo del recipiente. Coprire con un panno, quindi lasciar lievitare per unโoretta in luogo tiepido. Scaldare lโolio alla temperatura di 180ยฐC, prendere la pasta con la mano sinistra, stringere il pugno e far uscire attraverso il pollice e il medio una pallina di pasta. Con la mano destra bagnata afferrare la pasta e tuffarla nellโolio bollente. La pallina precipiterร sul fondo prima di risalire a galla, gonfia e con i tipici ghirigori che caratterizzano le pettole. In alternativa bagnare due cucchiai in acqua tiepida, con uno prendere un poโ di pastella e con lโaltro spingerla lasciandola scivolare nellโolio. Scolare e asciugare su carta da fritti e tamponare delicatamente. Portare a bollore il vin,cotto con 4 cucchiai dโacqua, abbassare la fiamma e far restringere a fuoco moderato per qualche minuto. Si dovrร ottenere un liquido denso e sciropposo. Versarlo ancora caldo sulle pettole sistemate in un vassoio e servire.
a cura di Michela Becchi
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