«Perché non c’è viaggiatore d’oggi, scrittore o lettore, studioso o discepolo che sia, che attraversi il Medioevo senza trovarvi quel che sperava», si sviluppa attraverso questo filone, e il concetto di riscoperta di un’epoca generalmente considerata buia e retrograda, l’articolo pubblicato di recente sul Foglio a firma di Roberto Volpi. Eppure, per sentirsi in dovere di ringraziare quell’epoca apparentemente così lontana, non bisogna per forza essere scrittori o studiosi. Basta semplicemente sedersi a tavola. Perché quella è l’epoca in cui è stata introdotta un’invenzione straordinaria: la forchetta.
Nel suo articolo, Volpi menziona gli scritti del sociologo tedesco Norbert Elias, che posizionò un ideale pietra miliare nella storia del Medioevo nell’anno 1530, corrispondente alla pubblicazione del saggio di Erasmo da Rotterdam, “De civilitate morum puerilium”. Una sorta di Galateo ante litteram che elencava i comportamenti ritenuti più consoni per un giovane sulla via della formazione, tra i quali l’uso, al tempo innovativo, della forchetta.
Il Medioevo, infatti, epoca descritta da Volpi anche come di transizione e mutamenti all’interno di sé stessa, è al contempo spettatore di pasti consumati in comune in cui i cibi, tutti, anche la carne, venivano portati alla bocca tramite l’uso delle mani, e i primi utilizzi delle posate. Non fu facile, racconta Volpi, inculcare nei giovani medievali un’attenzione alla formazione nell’”externum corporis decorum”, ossia al riguardo del decoro fisico esteriore. Lo stesso uso della forchetta «suscitò una disapprovazione generalizzata, tanto sembrava stravagante e ricercato. Tant’é che il suo uso richiese secoli per generalizzarsi».
Ma, si legge ancora nell’articolo, l’avvento delle posate a tavola non fu soltanto una questione di etichetta, quanto di igiene. I viaggiatori dell’epoca notavano già come i frequentatori di locande ed osterie fossero «sudati» e «surriscaldati», e come si asciugassero «il sudore con le stesse mani che poi immergono nei piatti comuni alla ricerca, sfruculiando nell’unto, del pezzo di carne migliore». Una doppia valenza, quindi, che testimonia solo in parte, ma forse quella più vicina a tutti noi, come, parafrasando la chiusura dell’articolo, «il Medioevo ne sapeva molto di tutto ciò. Troppo. Un troppo che non gli può essere abbonato».
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