Può un’alice trasformarsi in un fantasma? Sì, se stretta nella morsa implacabile del riscaldamento climatico. È ciò che sta accadendo lungo le coste del Cilento, dove l’alice di menaica, presidio Slow Food e simbolo di una tradizione millenaria, sta lentamente svanendo tra le acque della provincia di Salerno. Quella che un tempo era una risorsa preziosa e un fiore all’occhiello della pesca artigianale, oggi rischia di diventare un ricordo sbiadito, schiacciata dal Mediterraneo che si trasforma in un forno d’estate, minacciando di cancellare un patrimonio culturale e gastronomico unico.
La menaica è molto più di una semplice rete. Si tratta di un’opera d’arte artigianale, un’eredità che affonda le radici nell’epoca greco-romana. Realizzata a mano con maglie a rombo, questa rete si immerge a mezz’acqua per catturare le alici, bloccandole delicatamente per le branchie. Il lavoro dei pescatori è meticoloso e paziente: ogni alice viene pulita a bordo, dalla testa alle viscere, per preservarne la carne bianca, dolce e saporita. Ma oggi, come racconta Vittorio Rambaldo, pescatore di Marina di Pisciotta, le notti passate in mare sono spesso infruttuose. «Sono stato fuori dalle sette di sera a mezzanotte e sono tornato con un’alice e uno sgombro», confida a Repubblica, riflettendo la difficoltà crescente di una pesca che non è più quella di una volta.
La colpa è del Mar Mediterraneo che, con le sue acque che in estate raggiungono punte di 28-30 gradi anche a pochi chilometri dalla costa, sta cambiando radicalmente l’habitat delle alici. Costrette a cercare temperature più fresche, le alici si rifugiano a oltre 80 metri di profondità, ben oltre la portata della menaica. Questo fenomeno, confermato al quotidiano dall’ittiologo Albert Carlo Racaj, non è solo una questione di temperatura: il caldo anomalo altera le correnti marine e blocca la risalita dei nutrienti dai fondali, impoverendo il plancton, alimento fondamentale per le larve e i giovani pesci. Un mutamento ambientale a cui le alici sono particolarmente vulnerabili.
La scarsità di pescato si riflette inevitabilmente sulla filiera artigianale, come segnalano i lavoratori e le lavoratrici che da anni lavorano le alici a Castellammare di Stabia. Si parla di un calo del 40% nelle catture degli ultimi anni, con conseguenze dirette sulla produzione di eccellenze come il salaggione e la colatura di alici. Quest’ultima, condimento prezioso e antico, erede del garum romano, è apprezzata in tutto il mondo ma rischia di diventare sempre più rara se non si interviene per salvaguardare la specie e il suo habitat.
Ma la crisi di riflette anche sulla sostenibilità della pesca. Con la tecnica della menaica, i pescatori selezionano con cura solo le alici mature, che hanno già deposto le uova, per garantire la continuità della specie e preservare il mare da uno sfruttamento eccessivo. «Ce lo hanno insegnato gli antichi», spiega Rambaldo, «se muoiono le alici, moriamo anche noi». È un patto di rispetto e responsabilità che lega l’uomo al mare da secoli. Ecco perché, in un Mediterraneo che si riscalda a ritmi sempre più allarmanti, la parabola dell’alice di menaica deve trasformarsi in un monito imprescindibile. La sfida è ardua, ma la passione e la saggezza dei pescatori cilentani restano un patrimonio da tutelare con urgenza, per non lasciare che i piccoli pesci azzurri si trasformino in presenze evanescenti.
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