L'editoriale

Una vacanza per il vino italiano: smettiamola di accusare i giovani e ricominciamo a far emozionare

Tra crisi di identità, catastrofismi e accuse ai giovani che non bevono, il vino italiano ha bisogno di fermarsi e riflettere

  • 13 Agosto, 2025

Il vino italiano ha bisogno di una vacanza. Di quelle piene di libri, silenzi, sapori. Per pensare a mente libera e scrollarsi di dosso questo umore da fine impero, tra catastrofismo, incubo dazi, accuse ai giovani che non bevono più. Perché negli ultimi mesi il settore sembra aver perso lucidità, senso della misura e dell’identità. Si parla solo di crisi: distillare, estirpare, ridurre rese a caso, reinventare la Toscana come laboratorio per bollicine. Davvero siamo pronti a rottamare secoli di cultura per seguire il mercato come fosse TikTok? Il paradosso è diventata prassi: chi oggi demonizza i dealcolati, domani ne firma sei «per intercettare il segmento». E tutti ad applaudire.

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Ricominciamo dal passato

Fermiamoci un secondo e guardiamo anche indietro per analizzare il momento. Dati alla mano, il vino italiano viene da una corsa strepitosa iniziata quasi 40 anni fa, dallo scandalo del metanolo nel 1986. Una crescita ininterrotta su tutti i fronti: qualità produttiva, fatturati, conoscenza, formazione, territori riscoperti in Italia e portati con orgoglio in giro per il mondo. Solo gli ultimi 15 anni l’export è praticamente raddoppiato. Raddoppiato! Ora è il momento della frenata, l’equilibrio tra domanda e offerta sta cambiando, si consuma meno un po’ ovunque. Le questioni sono numerose: economiche, ma anche di stili di vita in evoluzione, proprio come per la ristorazione. È una fase che fa parte di un ciclo più ampio; non ne stiamo minimizzando la portata, ma è importante contestualizzarlo. Anche per non andare dietro a un’ansia collettiva che non porta a nulla.

Basta colpevolizzare i giovani

Come sostiene Alessio Planeta, bisogna smettere di misurare il vino in litri e iniziare a farlo in euro. «Pensate se ad Armani si chiedesse quanti metri quadrati di stoffa ha venduto e dove», ironizza il produttore siciliano. Il campionato della quantità è agli sgoccioli, bisogna ragionare sempre più in un contesto di valore. E pianificare una serie di azioni per riportare il vino nella vita quotidiana, nelle attività culturali, nella gioia di stare insieme senza doversi sorbire quattro ore di seminari tecnici. Occorre traghettare il vino dove non è mai stato, raccontarlo meglio, renderlo desiderabile e appetibile per un pubblico trasversale. Il vino, se non sa più emozionare, non serve a niente. E basta colpevolizzare i giovani per questo calo del mercato: forse siamo noi a non parlare più la loro lingua. Forse è un po’ anche colpa nostra, di chi il vino lo produce e lo comunica: abbiamo perso il gusto vero di raccontare e condividere. Proviamoci di nuovo, con passione e umiltà. In questo mese rallentato, mentre le città si svuotano e le prime uve si raccolgono, il vino ha una possibilità rara: quella di ritrovare il suo tempo. E, tra una zuppa di pesce e un ombrellone, anche un senso. Buon agosto. Calma e vino.

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