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La ristorazione dopo il coronavirus: parla Massimo Canevacci

Abbiamo chiesto all'antropologo Massimo Canevacci โ€“ come a tanti altri protagonisti del settore gastronomico e non solo, i cui contributi confluiranno nel prossimo mensile di maggio - di riflettere sul futuro del settore. Canevacci ci parla del significato piรน profondo del mangiare come rito connettivo e la nascita di una antropologia non antropocentrica. Abbiamo deciso di condividerle in anticipo.

  • 30 Marzo, 2020

Pensare alla catastrofe e alla sua fine รจ impresa inedita per tutti. Nessuno poteva pensare che saremmo arrivati a questo punto. Anzi, forse neanche a un puntoโ€ฆ Fino a pochi giorni fa pensavo al dopo come alla fine di tutto e del lutto, quando si sarebbe potuto uscire per strada e abbracciarsi tra sconosciuti e mangiare insieme. Tipo la festa del 25 Aprile. Una nuova liberazione da un nemico insidioso che non si ferma dinanzi ai valori di fraternitร  o uguaglianza. Purtroppo ora sono molto piรน cauto. Sento non lโ€™alito della morte, ma il suo vento maestrale: quello cieco e rancoroso che spazza tutto e tutti. Riprendere a mangiare in pubblico โ€“ la ristorazione โ€“ deve accumulare i troppi morti sepolti senza rito. E rendere loro pace.

Il rito del cibo condiviso

A volte ho queste visioni: quando potrรฒ tornare a mangiare in una trattoria, la mia trattoria preferita al Pigneto, entro come si entra in un luogo sacro e abbraccio con gli occhi la dolce proprietaria. Poi seduto sulla panca che unisce la tavolata, ordino gnocchi e un quartino di vino rosso. Nellโ€™attesa, ci guardiamo con gli altri clienti, tutti in silenzio e raccolti in un rito di passaggio inedito, il passaggio verso lโ€™alimentazione condivisa, in cui si compie il rituale: mangiare e bere come se fosse la prima volta alla presenza di tutti i defunti per il virus.

E quando arrivano gli gnocchi, sapientemente fatti in casa con un semplice quanto raffinato sugo di pomodoro, col parmigiano appena grattugiato offerto in una tazzina di lato, attenzione che adoro, scelgo il primo essere, un semplice eppur unico gnocco: e con estrema delicatezza lo avvolgo di sugo abbondante e lo cospargo di formaggio. Cosรฌ lo offro alla mia bocca semiaperta, che lo accoglie, anzi, lo assorbe tra i denti e la lingua facendolo sciogliere nellโ€™emozione del dramma. Solo in questo processo sacrale puรฒ avvenire lโ€™atto del deglutire che accompagna il sapore alla sua meta. E allora posso sorseggiare un poco di vino rosso che celebra il mescolarsi dei sapori.

Il rito connettivo del mangiare fuori casa e l’antropologia non antropocentrica

Ogni piรน micrologico atto del mangiare avrร  qualcosa che ristabilisce il sapere e il sapore di una metafisica immanente. Anche un pezzo di pane รจ un essere, uno gnocco รจ vivo, il goccio di vino รจ sacroโ€ฆ Avverto una umanitร -non-antropocentrica, dove lโ€™essere umano non รจ piรน il centro del mondo nรฉ la misura di tutte le cose, ma che ha capito che ogni frammento umano, animale, vegetale, minerale e perfino โ€“ politeisticamente โ€“ divino compone il cosmo di cui tutti facciamo parte nelle nostre specifiche differenze. Perchรฉ sono queste differenze che ci rendono uguali, non lโ€™essere identici: come avevano compreso le metamorfosi di Ovidio.

La riscoperta del poter mangiare fuori casa sarร  rito silenzioso, un rito connettivo nelle nostre irriducibili individualitร  piuttosto che collettivo dove i singoli scompaiono. Essere gentili con la polvere di parmigiano o la goccia di olio, gentili nel senso profondo di fare parte della gens, dei diritti allโ€™esistenza: e sento che solo in questo processo esistenziale sarร  possibile lโ€™atto pubblico del ristorare. Mi piacerebbe immaginare che โ€“ se carne si deve mangiare โ€“ una parte di essa, i suoi profumi e vapori, possano nutrire esseri che chiamiamo divinitร  per accompagnare il corso del simposio. La tradizione della cultura greca offre la possibilitร  di riattualizzare la trama che connette ogni vivente in quanto essere. Dalla festa silenziosa emerge una antropologia-non-antropocentrica. Solo cosรฌ lโ€™umano, dopo la catastrofe virale, potrร  sentirsi parte di quella che chiamiamo natura e che non si presenta solo come oggetto, a noi di fronte, bensรฌ come pienamente soggetto co-evolutivo.

Ogni piรน piccolo tratto della ristorazione, che evoca il ristoro, dovrebbe avere le connotazioni della soggettivitร , di una soggettivitร  espansa e non piรน ristretta quel โ€œnoiโ€ asfittico e incerto. E solo in quanto esistenza espansa sarร  possibile degustare di nuovo, rigustare. Gustare cibo pubblicoโ€ฆ

Il banchetto silenzioso della rinascita

Mi piacerebbe immaginare un banchetto silenzioso, in cui ognuno ritualizza lโ€™evento drammatico del mangiare. E cosรฌ, a un punto non convenuto, una persona si potrร  alzare con discrezione e invitare tutti i commensali al brindisi piรน silenzioso e commosso della storia recente. Non sarร  possibile la gioia del mangiare condiviso nel ristorante elegante o nella trattoria popolare. Troppi lutti hanno devastato le famiglie e le amicizie. Se รจ vero che, nella piรน arcaica ritualitร  del lutto, a un certo punto i familiari offrono da mangiare โ€“ il consolo โ€“ ai convenuti per sottolineare la vita che deve riprendere, allora la ripresa della vita avrร  nellโ€™atto pubblico del mangiare lโ€™evento piรน sacro. Quel cibo materialmente trascendenteโ€ฆ

Trascendere la morte significa mangiare simboli. Non piรน nei discorsi, nellโ€™evocazione del defunto, nel prete che sbaglia il nome del morto: ristorare potrebbe significare restaurare la potenza vitale del cosmo. La sua cosmologia fluttuante. Il dopo la tragedia del virus, se ci sarร  questo dopo, dovrร  performare pubblicamente la pacificazione del cibo con la morte e con i morti.

a cura di Massimo Canevacci
antropologo

illustrazione di Gianluca Biscalchin

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