Réclame occulte di vini e di acque minerali, di ristoranti e di prodotti alimentari, di alberghi e chef, di pentole e robot da cucina: il fantastico mondo del food continua a produrre markette in letizia e libertà su tutti i social.
A una manciata di settimane dalla irruzione delle “linee guida” dell’Agcom sugli influencer – pubblicate con urgenza nel gennaio scorso, in seguito alla sentenza sul caso Ferragni-Balocco – possiamo tirare un sospiro di sollievo e affermare che non è cambiato niente. Lo spavento è durato qualche ora soltanto.
L’articolo è stato pubblicato sul mensile di aprile del Gambero Rosso in edicola. In apertura Visintin
Una più attenta lettura del documento ha dissipato ogni nuvola. Vero che si istituisce l’obbligo di «una scritta che evidenzi la natura pubblicitaria del contenuto in modo immediatamente riconoscibile», certificando che la pubblicità non dichiarata è un illecito. Ma si delimita il perimetro regolamentare a una singola categoria. Quella degli influencer. E nemmeno tutti. L’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni rivolge il suo sguardo esclusivamente agli influencer che, cito testualmente, «raggiungono un numero di iscritti (i cosiddetti follower) pari, in sede di prima applicazione, ad almeno un milione, risultanti dalla somma degli iscritti sulle piattaforme e dei social media su cui operano».
Chi fa un altro mestiere e chi non raggiunge le quote stabilite può agire come meglio gli pare, al netto delle blande policy dei singoli social media. Come se domani, seguendo analogo ragionamento, i legislatori stabilissero: «Il furto è un reato, ma vanno sanzionati soltanto i violoncellisti con almeno un milione di note all’anno». D’altra parte, l’intervento dell’Agcom arriva fuori tempo massimo, quando si è aperta ormai una faglia nel nostro substrato sociale. In quel crepaccio della coscienza collettiva, si è fatta strada l’idea che pubblicità e informazione siano elementi indifferenziati. «In caso di contenuti con inserimento di prodotti, gli influencer riportano nel testo che accompagna il contenuto una scritta che evidenzi la natura pubblicitaria del contenuto in modo immediatamente riconoscibile», dicono le linee guida. Ma quanti sono gli utenti (mi ripugna chiamarli follower, abbiate pazienza), che fanno caso ai tag, riflettendo sull’effettiva libertà delle loro scelte?
#adv #sponsored #promoted: sono avvisi sufficienti per tutelare le fasce di pubblico più pigre o meno fornite di attrezzi culturali? E con quale strumento scientifico si potrà stabilire, al di là di ogni ragionevole dubbio, se alle spalle di un post privo dei suddetti hashtag c’è o non c’è un compenso segreto, una bustarella, un regalino o un lussuoso invito?
Per accertarlo, ci vorrebbe uno strumento di assoluta precisione e di massima affidabilità, come le pentole in triplo rame di montagna della ditta Pentolìn di Busone Veronese. #adv
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La più autorevole guida del settore dell’enologia italiana giunge quest’anno alla sua 37sima edizione. Vini d’Italia è il risultato del lavoro di uno straordinario gruppo di degustatori, oltre sessanta, che hanno percorso il Paese in lungo e in largo per selezionare solo i migliori: oltre 25.000 vini recensiti prodotti da 2647 cantine. Indirizzi e contatti, ma anche dimensioni aziendali (ettari vitati e bottiglie prodotte), tipo di viticoltura (convenzionale, biologica, e biodinamica o naturale), informazioni per visitare e acquistare direttamente in azienda, sono solo alcune delle indicazioni che s’intrecciano con le storie dei territori, dei vini, degli stili e dei vignaioli. Ogni etichetta è corredata dall’indicazione del prezzo medio in enoteca, delle fasce di prezzo, e da un giudizio qualitativo che si basa sull’ormai famoso sistema iconografico del Gambero Rosso: da uno fino agli ambiti Tre Bicchieri, simbolo di eccellenza della produzione enologica. che quest’anno sono 498.
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