Nude Burger, avocado, pane nero, spaghetti al pomodoro e basilico e allโamatriciana e pasta e fagioli. Al bar un caffรจ filtro. Oppure un Tocai o un Merlot. Sono decine i posti, piรน o meno fast o gourmettizzati, a Milano dove si puรฒ mangiare cosรฌ. Ma nel 1974 ce nโera solo uno: il ristorante di Fiorucci in via Torino.
Maurizio Turchet, ufficio grafico Fiorucci – Fiorucci Ristorante, grafica per il menรน 1976 – Courtesy Maurizio Turchet, Foto Gianluca Di Ioia โ Triennale Milano
Aperto dal 1974 al 1979 ebbe vita breve (ma piรน lunga di molti locali dei giorni nostri): era un format probabilmente troppo โalienoโ per quella Milano dove ancora suonavano le sirene delle fabbriche (la Marelli chiuse definitivamente nel 1981, lโAlfa Romeo nel 1986, la Breda nel 1992) e dove, allโombra dello stadio di San Siro (ancora a due anelli) erano nate e operavano le Brigate Rosse. Una Milano di piombo, grigia e nebbiosa che visse, grazie a un milanese figlio di un commerciante di pantofole, una piccola rivoluzione colorata, irriverente e in qualche modo preveggente. Per capire di piรน del mondo creato da Elio Fiorucci cโรจ fino al 16 marzo, la bella mostra in Triennale a Milano. Visitando la quale ci siamo imbattuti in un menรน che ci ha fatto assai riflettere. Ma qual รจ la storia dellโescursione di Fiorucci nella ristorazione?
Maurizio Turchet, ufficio grafico Fiorucci – Fiorucci Ristorante, poster, 1977, Courtesy Maurizio Turchet, Foto Gianluca Di Ioia โ Triennale Milano
Il โristorante caffetteria cocktail barโ di via Torino angolo via Valpetrosa, aperto allโinterno del secondo negozio milanese, faceva orario continuato โdalle 12 a.m. alle 2 del mattinoโ, aveva un banco bar, e occupava un patio con un soffitto trasparente che bagnava ci luce le piante tropicali. Era progettato da Franco Marabelli, architetto, amico e collaboratore storico che firmerร anche il mitico Fiorucci di New York, quello frequentato da Warhol e da Madonna.
Oggi si direbbe spazio polivalente e multifunzionale, dove si poteva fare shopping acquistando non solo i mitici jeans da donna, la prima e forse piรน geniale intuizione dellโimprenditore, ma anche libri, mobili, gadget, dischi, scarpe dai colori sgargianti e dai materiali inusuali, e poi mangiare, bere, ascoltare concerti e incontrare gente che viveva la notte: artisti, attori, musicisti, giornalisti dei quotidiani del centro in cerca di cibo e di un whisky 12 anni dopo il lavoro. I tavoli quadrati erano componibili, piatti e bicchieri bianchi e pesanti. Un incrocio, nel dรฉcor ma anche come vedremo nel menรน, tra una trattoria milanese e un mall statunitense. Era un crogiolo di idee innovative che verranno poi riprese nei venti o trentโanni dopo. A partire dalla copertina del menรน, di Maurizio Turchet dellโufficio grafico Fiorucci: strizza lโocchio ai diner americani anni โ50 ma รจ anche una preview dellโestetica Toiletpaper.
Maurizio Turchet – Fiorucci Ristorante, illustrazione per il menu 1976 – Courtesy Fiorucci
Il menรน era un semplice ma stupefacente mix di grandi classici della cucina italiana (spaghetti al pomodoro e basilico, allโamatriciana, al pesto a 700 lire, 3,26 euro di oggi) e novitร assolute, come lโhamburger che pare Fiorucci sia stato il primo a portare nella ristorazione italiana (anche se i piรน agรฉe si ricorderanno le โsvizzereโ, sorta di polpettone che da bambini ci rifilavano le mamme ansiose di propinare lโindispensabile carne rossa). Idee captate, come spesso faceva Elio Fiorucci, nei suoi viaggi tra la swinging London e New York.ย
Come che sia, gli hamburger con panino e farcitura (che in un volantino promozionale sono scritti addirittura senza h: dimenticanza o tentativo di italianizzazione? Chissร ) compaiono qui sette anni di Burghy, la prima catena fast food che debutta in piazza San Babila, quasi a fianco del primo Fiorucci, nel 1981. Era proposto in tre versioni: Hollywood โcon carne di manzo ricoperta da un uovo fritto e contornata da patate fritteโ, Technicolor โpolicromia di lattuga, pomodoro, cetriolo, thousand islands sauce, patate fritteโ e Splash Down โcon formaggio gratinato e baconโ. Tutti a 1600 lire, circa 7,50 euro odierne. Non mancano le opzioni โhealthyโ: avocado in vari modi (immancabile la versione con i gamberetti, che sia รจ un poโ perduta nel tempo) ma anche mezzo pompelmo e mezzo melone e la โSan Francesco pea soupโ (zuppa di piselli con crostini). Sul versante street food compaiono la pannocchia di granoturco e la โpatata in giacchettaโ (ovvero la jacket potato di britannica memoria).
Maurizio Turchet – Fiorucci Ristorante, illustrazione per il menu 1976, Courtesy Fiorucci
Non meno rivoluzionario, anzi anche di piรน se si considera che ancora cinquantโanni dopo in Italia entriamo in un bar chiedendo un caffรจ dando per scontato che sia un espresso, il menu delle bevande. Che vede in cima alla lista il โCona Coffeeโ o caffรจ americano, unโestrazione che prevede (in teoria) un macchinario di vetro a due sfere che ricorda un Syphon e fu perfezionato nel 1947 da Abram Games. Segue il โcaffรจ allโitalianaโ che immaginiamo essere il nostro amato e tradizionalissimo espresso, a 300 lire (1,40 euro odierni, ohibรฒ).ย Ci vorranno decenni prima che le caffetterie specialty (dopo iol 2013) e poi l’arrivo di Starbucks (nel 2018) riproporranno l’estrazione a filtro in maniera seria eย circostanziata.
Gli intramontabili Gin tonic e vodka tonic chiudono il menรน delle โbevande hardโ, a 1500 lire. Cosa sarebbe successo se la relativa meteora della ristorazione made in Fiorucci fosse durata di piรน, non ci รจ dato sapere. Avrebbe forse cambiato il corso o anticipato lโevoluzione gastronomica, tradizionalmente piuttosto lenta a muoversi anche nella cittร che ritiene di essere la piรน cosmopolita dโItalia? Comunque sia, passeggiando per le stesse vie degli anni ’70 con le insegne e i menรน standardizzati della Milano dโoggi vien da pensare che un poโ di audacia e di creativitร , anche in cucina, potrebbe forse anche oggi provare a sfidare la banalitร e financo lo spirito dei tempi.
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