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Il commento

50 Best, il giorno dopo: dove va la cucina mondiale, e dove (ancora) non va l’Italia

Dal trionfo Nikkei alla scalata di Bangkok, passando per il solito stallo italiano. Cosa ci racconta davvero la classifica più influente della gastronomia globale

  • 20 Giugno, 2025

Ha vinto Maido di Lima, non è una novità il Perù in cima al mondo, era già accaduto nel 2023 con Virgilio Martinez e il suo Central. In questo caso però più che in altre situazioni Mitsuharu Tsumura non l’abbiamo visto arrivare. Lo chef giapponese ha portato in testa al mondo la cucina Nikkei, che fonde la cultura nipponica con quella peruviana ed è la prima volta nella storia della 50 Best che vince un ristorante apertamente fusion. Fino a questo momento avevano sempre trionfato locali strettamente legati al territorio, al massimo con una vocazione genericamente internazionale. Un episodio o il segno di un cambiamento?

Una classifica che si autorigenera

La classifica non ha riservato grandi rivoluzioni rispetto all’anno scorso: otto dei primi dieci si sono confermati nella top ten, tenendo conto che Disfrutar era scartato a prescindere per la regola che esclude i precedenti vincitori dalla competizione. Gli unici nuovi ingressi nella parte altissima della classifica sono Kjolle (altro ristorante di Lima) al 9o posto e Sézanne di Tokyo al 7o. La 50 Best si mostra estremamente vivace nella pancia della classifica, con numerosi nuovi ingressi (o reingressi) nella parte principale della lista (quest’anno 14) ma estremamente conservativa nella testa, come se si autorigenerasse ogni anno. Vero che i giurati cambiano per il 25 per cento ogni anno e che sono liberi e indipendenti, ma probabilmente i capo-panel delle varie regioni orientano il timone verso la bonaccia.

Un po’ delusa la Spagna, dopo il boom di Las Vegas 2024 (tre ristoranti nei primi quattro). Asador Etxebarri era il favorito numero uno ed è finito ancora secondo, DiverXO ha confermato il quarto (anche i pink si acquietano), Quique Dacosta è crollato (dal 14 al 65), alla fine l’unico sorriso è lo sbarco in classifica di Enigma a Barcellona, al 34. Opaca anche la prestazione della Francia, o forse dovremmo dire di Parigi. Bruno Verjus scende rumorosamente dal podio (dal 3 all’8), Septime precipita dall’11 al 40, sale solo Plénitude (da 18 a 14).

In generale l’Europa è sempre meno centrale e sono l’America Latina e l’Estremo Oriente le nuove dominatrici della classifica. Merito di una indubbia qualità gastronomica ma anche di un intenso lavoro di marketing territoriale condotto da quei Paesi, che invitano e si promuovono come noi non facciamo. Esemplare il caso di Bangkok. Sei ristoranti nei primi 50, cosa mai successa negli ultimi anni della 50 Best a una singola città. Ieri a ogni nuovo ristorante thailandese chiamato c’era un moto per metà di ammirazione e per metà di irritazione nella parte della platea dedicata alla stampa italiana.

Italia: buona squadra, nessun bomber

Irritazione che ci porta dritti dritti alla parte più difficile di questa analisi, quella che riguarda i ristoranti italiani. In termini di gruppo non è stata una cattiva performance: sei ristoranti nei primi 50 non accadeva dall’anno di grazia 2022 (quando l’Italia ne piazzò sei ma nei primi 29) e rappresenta il record eguagliato. Ma basta guardare i sei del 2022 e i sei di ieri per scoprire che sono gli stessi al netto dello spostamento di Norbert Niederkofler da San Cassiano a Brunico. Sono anni che la 50 Best non regala una sostanziosa novità all’Italia, a parte la brava Jessica Rosval del Gatto Verde, entrata al 92 quest’anno, che però ha il passaporto canadese. La 16esima posizione dei Camanini rappresenta inoltre la peggiore performance in fatto di “picco” dall’orribile 2019 dello shock del “ban” a Bottura. Allora il migliore fu Crippa al 29. Tolto quell’annus horribilis bisogna andare al 2005 per trovare di peggio (il 23esimo posto di Checchino). Insomma, l’Italia ha una buona squadra ma nessun vero bomber. E non si vede una prospettiva di un cambiamento a breve, considerato che alcuni geni della nuova cucina italiana (Alberto Gipponi, Davide Di Fabio, lo stesso Diego Rossi) non sono considerati. Certo ci sarà il boom dell’anno prossimo soprattutto per Crippa, che in questa settimana ha invitato nel suo ristorante di Alba il mondo e l’anno prossimo potrebbe essere super votato ma è chiaro che manca una strategia di supporto e un quadro normativo che aiuti la ristorazione di qualità a fare l’ultimo salto. Il ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida non ha mancato la passerella ed è salito sul palco per un saluto (l’unico a esprimersi in italiano) sciorinando le solite belle parole sulla candidatura della cucina italiana a patrimonio immateriale dell’umanità Unesco. Ma forse davvero bisognerebbe passare dagli slogan ai fatti.

Infine un’altra considerazione italiana. Dei sei ristoranti italiani nella top 50 nessuno è in una città, nemmeno di media grandezza. Zero capoluoghi di provincia. Milano e Roma non pervenute, le altre grandi città turistiche (Venezia, Firenze, Napoli) men che meno. Non è una novità, certo, ma forse dovremmo interrogarci anche su questo, visto che le altre grandi nazioni nella 50 Best sono trainate dalle loro capitali. È una anomalia tutta italiana. Questo provincialismo è un vantaggio o un limite? Il dibattito è aperto

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