
Secondo Fipe – la Federazione Italiana Pubblici Esercizi – sono circa 314mila gli extracomunitari in Italia, impiegati nel settore del fuori casa: bar, alberghi, ristoranti. Un numero in crescita costante negli ultimi anni, ma di cui è difficile tracciare i contorni. Molti di questi potrebbero essere interessati dall’esito del prossimo referendum, quello dell’8 e 9 giugno che trova tra i quesiti anche uno relativo alla riduzione degli anni di permanenza nel nostro Paese per richiedere la cittadinanza italiana. Il quesito propone di abrogare la legge n.91 del 1992 che raddoppiava da 5 a 10 anni ininterrotti il tempo di residenza necessario alle persone non comunitarie per chiedere la naturalizzazione, ovvero la cittadinanza italiana, a patto di conoscere la lingua italiana ed essere in possesso di un contratto di casa e un reddito minimo. Con la vittoria del Sì basterebbero 5 anni per chiedere la cittadinanza, a cui si devono aggiungere i tempi per evadere la pratica, in genere altri 2 o 3 anni.
Nabil Hassen
Sappiamo bene come le persone senza cittadinanza, dunque di fatto con meno tutele, siano più esposte al lavoro irregolare, quanto i continui rinnovi richiedano tempo ed energie, quanto incertezza e precarietà possano logorare gli animi. Questo avviene quotidianamente alle persone che sono intorno a noi, anche chi è nelle nostre cucine. Quell’emblema dell’identità collettiva di cui tanto ci vantiamo è spesso appannaggio di professionisti provenienti da ogni parte del mondo.
Una delle migliori carbonare di Roma, è risaputo che sia opera di uno chef nato in Tunisia, che da 15 anni ormai è cittadino italiano. Nabil Hassen è arrivato a Pantelleria che aveva 17 anni, 44 anni fa. Da allora ha passato nel suo paese natale più o meno un mese l’anno, in vacanza, il resto della sua vita l’ha trascorso qui. Quando ha deciso di fare la domanda, ha preparato il fascicolo per ben due volte a vuoto prima di presentarlo: «non avevo mai tempo» spiega. Troppo lavoro. Perché lui – Nabil – è stato ed è ancora uno dei pilastri della scena capitolina, da Roscioli prima e da Baccano ora. Non ha avuto grandi problemi «grazie a Dio ho un buon reddito», ma comunque ci sono voluti quasi due anni da che ha presentato la domanda, «ma quando l’ho fatto io era molto più semplice». Come mai si è deciso per questo passo? «Per me è un onore, visto che vivo qui da 44 anni. Ho passato la mia vita qui, qui sono nati i miei figli». Cosa è cambiato per lui con la cittadinanza lo dice in un soffio: «ho potuto viaggiare più facilmente: Stati Uniti, Giappone senza visto né altro. E poi – aggiunge – se mi fermano non ho problemi». Non che li abbia mai avuti, si affretta ad aggiungere (ringraziando Dio). C’è poi la questione lavoro: c’è differenza tra chi è cittadino e chi no? «Ti chiedono se sei in regola e se hai la cittadinanza, anche perché significa che non hai avuto problemi anche nel Paese da cui arrivi, ma sul lavoro non la guardano più di tanto: la cosa importante è che ti comporti bene».
Jessica Rosval
Pur essendo in Italia da 12 anni, Jessica Rosval – chef de Al Gatto Verde a Casa Maria Luigia – non ha ancora la cittadinanza, «sono cosciente che potrei fare la richiesta, ma tra lavoro, incombenze varie, e tutte le cose burocratiche necessarie non ho ancora presentato la domanda, ma non vuol dire che non la vorrei». Cosa la blocca? «Mi serve solo il coraggio, è una questione di quanto tempo e impegno serve, da quel che ho capito è un processo complesso per cui è meglio avere un aiuto, per esempio rivolgendosi ad avvocati o centri per gli stranieri, ma ora non è la mia priorità». Il suo permesso è valido per 10 anni, nei primi 5 anni c’è da fare il rinnovo ogni anno o ogni 2 anni, «dopo puoi fare la richiesta a lungo termine come ho fatto io. Ora ho un po’ di tranquillità». Ma quali sono i motivi per cui fare richiesta? «La cittadinanza italiana apre delle porte in tanti aspetti della vita, anche viaggi che si possono fare intorno al mondo, anche con la mia cittadinanza canadese, ma avere anche un passaporto europeo mi darebbe maggiore libertà rispetto a ora. La cosa più importante, però, è poter votare e partecipare in questo modo alla vita qui e avere la possibilità di partecipare nelle scelte politiche di questo paese. Ho progetti sociali che per me sono molto importanti, e poi ci sono aspetti della vita civica e sociale che sono fondamentali, per i valori che mi guidano nella vita personale e nei miei ristoranti». Fa riferimento a Roots, progetto di formazione lavorativa e inserimento nel mondo del lavoro per e con donne migranti: «lì lavoro con un gruppo di persone, siamo tutti migranti e tutti abbiamo scelto di venire in Italia. È la nostra casa d’adozione, avere la cittadinanza di un paese che abbiamo così vicino al nostro cuore sarebbe una grande soddisfazione», spiega.
Matias Perdomo
«Senza la cittadinanza italiana non sei libero di pensare e agire come un europeo» dice Matias Perdomo, uruguaiano arrivato nel 2001 a Milano, dove c’è il suo Contraste. Oggi è alle prese con le pratiche per la cittadinanza, nonostante un permesso di soggiorno a tempo indeterminato. «Vedendo un po’ come stanno andando le cose nel mondo, mi sono detto meglio farla: a prescindere da quello che hai fatto e di come sei integrato nel paese in cui vivi, non sai mai come va a finire, la burocrazia non sente ragioni. E qui non ho solo delle attività in Italia: ho anche una figlia».
Antonella Ricci e Vinod Sookar
Arrivato in Italia 27 anni fa da Mauritius con un visto turistico di 3 mesi, Vinod Sookar è chef e patron, insieme ad Antonella Ricci, del Fornello da Ricci di Ceglie Messapica e dello spin off meneghino. Qualche tempo dopo il suo arrivo si sposa con Antonella e rimane qui, continuando a rinnovare il permesso di soggiorno regolarmente. «Ogni 6 mesi o un anno bisognava prendere appuntamento in questura per il rinnovo, era un po’ un casino, ma si faceva, e negli anni siamo anche entrati in confidenza con le persone che ci seguivano la pratica, ne sono nate delle amicizie durature». Nella zona Antonella e Vinod sono conosciuti, benvoluti. Passa così un po’ di tempo, «non ci pensavamo più di tanto alla cittadinanza: lavoravano, vivevamo bene, eravamo contenti». Anche se poi, a ogni viaggio all’estero, anche per lavoro, si presentava la stessa situazione: «Antonella con il passaporto italiano passava da una parte, io che partivo dall’Italia con il passaporto mauriziano dovevo fare un’altro percorso». Va avanti per un po’, nel frattempo nasce la loro prima figlia che non capiva perché dovessero separarsi. «La cittadinanza è una cosa importante per le persone che arrivano dall’altra parte del mondo – interviene Antonella Ricci – e poi quando nascono dei figli, bisogna preservarli: il territorio che ha adottato i genitori dovrebbe adottare anche i figli». È a questo punto che Sookar si decide a fare richiesta di cittadinanza: «lavoravo, pagavo le tasse, e perché no? Era intorno al 2016… non ricordo bene». Quel che ricorda però è la reazione: «Il sindaco di Ceglie ha organizzato una festa – racconta – Da quel momento ho capito che significa essere adottato, non mi sono più sentito straniero».
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