Un progetto giapponese punta a rendere possibile qualcosa che fino a pochi anni fa sembrava fantascienza: produrre carne a casa, senza allevare o macellare animali. È l’obiettivo del Shojinmeat Project, un’iniziativa di biohacking che sfocia nel cosiddetto “citizen science” nata nel 2014 e diretta dall’ex ingegnere chimico Yuki Hanu. L’idea è semplice ma rivoluzionaria: far crescere carne coltivata a partire da poche cellule animali, in un bioreattore domestico, replicando i processi di laboratorio ma con strumentazioni accessibili a chiunque.
Shojinmeat non è un’azienda commerciale in senso classico, ma si tratta di un progetto no-profit che vuole mettere nelle mani di ristoratori, appassionati o semplici curiosi le istruzioni per creare carne “su misura” direttamente sul posto, ovvero nella cucina, nel laboratorio casalingo, non in strutture industriali. Non si parla ancora di bistecche intere o costolette di maiale pronte da cucinare, ma il progetto è già riuscito a stabilire protocolli di coltura cellulare senza materiali e attrezzature di alto livello specializzato.
Gli strumenti suggeriti sono tutti reperibili online o nei negozi, come una sorta di kit “fai da te” per carne coltivata. Una ramificazione del progetto, chiamata IntegriCulture, propone invece bioreattori già pronti, per uso domestico o per ristoranti. Non è la versione più artigianale, ma costa molto meno rispetto ai bioreattori di laboratorio. Il sistema permette di coltivare diverse cellule, provenienti da animali o pesci, offrendo un ventaglio più ampio di tipi di carne.
Il progetto è nato da un incontro informale tra studenti e laureati in uno spazio di coworking a Tokyo. Inizialmente l’idea era quella di coltivare carne in laboratorio, ma presto si è deciso di spostare l’attenzione sulla possibilità di farlo a casa, utilizzando materiali di uso quotidiano e tecniche semplici. Un progetto che quindi punta a coinvolgere la comunità e a demistificare la scienza dietro la carne coltivata.
Chi vuole provare a coltivare carne di pollo in casa può seguire alcuni passaggi piuttosto semplici anche se insoliti. Anzitutto bisogna procurarsi una cellula animale e Shojinmeat suggerisce di partire da un uovo di pollo da fecondare. Poi le cellule vanno coltivate a temperatura corporea, circa 37 gradi, e a un pH leggermente alcalino intorno a 7,4 e per far sì che crescano correttamente serve un supporto su cui possano aderire, chiamato scaffold, che può essere una piastra rivestita di collagene. Le cellule devono poi essere nutrite con un mezzo di coltura che contiene zuccheri, amminoacidi, vitamine e minerali e a questo proposito il progetto propone anche soluzioni creative come l’uso di bevande sportive per integrare il nutrimento.
Infine, è fondamentale mantenere condizioni igieniche rigorose per evitare contaminazioni da batteri o muffe e tra gli accorgimenti indicati c’è anche l’uso dell’albume d’uovo che contiene enzimi naturali antibatterici come la lisozima. Il progetto mette a disposizione una lista completa degli strumenti necessari molti dei quali sono comuni o facilmente reperibili e il costo stimato per assemblare un kit fai-da-te si aggira intorno ai 400 euro.
Finora, la produzione domestica tramite il metodo Shojinmeat ha consentito di ottenere quantità molto piccole quantificabili in circa un grammo di tessuto animale coltivato. Non sufficiente per una ricetta tradizionale, ma il primo passo concreto verso il “grow-your-own meat”. La qualità del prodotto è anch’essa limitata, infatti non ancora raggiunte texture complesse né la realizzazione di tessuti muscolari completi con marmorizzazione del grasso o strutture tridimensionali. Il risultato, oggi, assomiglia più a una massa cellulare o a prodotti tipo salsiccia piuttosto che a tagli veri e propri.
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