C’è chi ha smesso di inseguire il sole. Davanti a estati sempre più torride, la nuova parola d’ordine è fresco. O meglio, coolcation: una vacanza pensata per sfuggire al caldo. Il trend è in crescita ovunque, e dice molto di come il cambiamento climatico stia riscrivendo l’estate. Il termine coolcation nasce dalla crasi tra cool (fresco) e vacation (vacanza), e racconta molto più di una semplice moda estiva. Descrive un nuovo approccio al viaggio: sempre più persone, anziché inseguire sole e abbronzatura, scelgono consapevolmente mete più fresche, montane o boreali, dove le temperature siano più miti anche in piena estate. Non si tratta soltanto di una nuova categoria di destinazioni turistiche, ma di una nuova forma mentale: il fresco come benessere, rifugio, condizione necessaria per potersi davvero riposare.
Il termine è comparso per la prima volta tra il 2022 e il 2023 nei report dell’industria turistica anglosassone, soprattutto nel mondo delle crociere e delle destinazioni nordiche. A rilanciarlo sono stati magazine come Condé Nast Traveller, BBC Travel, Forbes e CN Traveller, che lo hanno inserito tra le tendenze chiave dei viaggi post-pandemici. Da lì, la parola ha cominciato a circolare anche nel linguaggio delle agenzie, degli influencer e delle piattaforme di prenotazione. L’estate, insomma, non è più sinonimo di spiaggia. È diventata qualcosa di più selettivo, più mobile e spesso più fresco. Un clima temperato non è solo un’opzione piacevole: sta diventando un requisito minimo.
Il 61% dei viaggiatori globali vuole evitare mete troppo calde. È questo il dato chiave del report Travel Predictions 2025 di Booking.com, che dedica un intero paragrafo all’ascesa delle coolcation e anche una tendenza correlata: il “noctourism”, ovvero l’interesse crescente per attività notturne o all’alba, nate proprio per evitare il caldo eccessivo delle ore centrali.
Tra i motivi dichiarati: disagio fisico, paura per i figli o gli anziani, timore di disservizi (blackout, scarsità d’acqua), ma anche semplice desiderio di cambiare scenario.
Negli ultimi due anni, le ricerche di voli e soggiorni verso destinazioni “fresche” sono cresciute esponenzialmente. Secondo Expedia Group, le prenotazioni in località di montagna durante i mesi estivi hanno registrato incrementi a doppia cifra. Airbnb ha segnalato un +50% di ricerche per destinazioni climate-friendly rispetto al 2019. Alcune mete hanno vissuto veri e propri boom: Scozia, Islanda, Canada, Dolomiti, Slovenia, i paesi baltici, l’Irlanda rurale, il Giappone settentrionale.
Sul fronte dei dati misurabili, la tendenza è concreta. Le ondate di calore in Europa spingono i viaggiatori verso nord: secondo i dati di SAS, i voli dalla Francia verso la Norvegia sono aumentati del 22%. Le prenotazioni per Stavanger sono cresciute del 38?%, quelle per Kristiansand del 52%. L’agenzia Virtuoso ha registrato un incremento del 263% per destinazioni come Scandinavia, Finlandia e Islanda.
Anche Google Trends – che monitora le parole chiave correlate a questa – conferma il trend: le ricerche legate a “cooler holidays” e “coolcation” sono cresciute del +300% nell’ultimo anno. Aumenti a tre cifre si registrano anche per parole chiave legate a destinazioni come Svalbard, Isole Faroe, Groenlandia. Le città più in crescita nelle ricerche? Stoccolma (+650%), Tromsø (+103%), Calgary (+75%) e Tallinn (+29%).
Dietro queste scelte non c’è solo voglia di paesaggi incontaminati o escursioni nella natura, ma un vero e proprio adattamento a un mondo che cambia. Le vacanze si stanno spostando: geograficamente, climaticamente e simbolicamente.
Il concetto di coolcation non nasce dal nulla: è figlio diretto del cambiamento climatico e dei suoi effetti sulla vita quotidiana. L’idea della vacanza come fuga al sole, il mito del Mediterraneo, della sabbia calda, del mare blu, sta mostrando la corda. Le estati sono sempre più torride, le ondate di calore più lunghe e più violente. Le città d’arte diventano forni, le spiagge si affollano fino all’insostenibilità, le attività all’aperto diventano impossibili nelle ore centrali. Ecco perché i viaggi si stanno allontanando dalle mete tradizionali. La tendenza verso temperature più moderate diventa una strategia di sopravvivenza, non un vezzo. L’aria fresca non è più un comfort aggiuntivo: è un’esigenza fondamentale.
Tuttavia, dietro alla coolcation si cela anche un tema strutturale: quello della disuguaglianza climatica. Viaggiare verso il Nord Europa, il Canada o il Giappone settentrionale non è alla portata di tutti: spesso richiede budget superiori, tempo libero prolungato e la possibilità di soggiorni più lunghi o fuori stagione. Significa avere case coibentate, un lavoro che consente il remoto, e la libertà di cercare comfort altrove. In breve, significa godere di un vantaggio che molti non possono permettersi.
A livello globale, il cambiamento climatico colpisce di più chi ha meno risorse per adattarsi. Questo vale per l’accesso all’acqua, all’energia, all’assistenza sanitaria — e ora anche per le vacanze. La coolcation è un privilegio che rivela una nuova frattura sociale: quella tra chi può spostarsi per evitare il caldo e chi deve subirlo. In un certo senso, è il Grand Tour del XXI secolo: non più per vedere l’arte, ma per sfuggire alla temperatura.
Nel nuovo immaginario estivo, il fresco diventa un bene scarso. E come tutti i beni scarsi, è distribuito in modo ineguale. La possibilità di andare al fresco si trasforma così in un nuovo indicatore di status. Con buona pace della “libertà di viaggiare”.
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