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La mostra

Dalla cucina al culto: vent’anni dopo, che fine ha fatto la rivoluzione nordica?

Dal Manifesto firmato da Redzepi e Meyer alla mostra di Oslo che ne celebra l’eredità: ritorno alla natura e nuovo fine dining

  • 10 Giugno, 2025

Vent’anni fa, dodici chef scandinavi firmavano un manifesto in dieci punti per fondare la Nuova Cucina Nordica. Una dichiarazione di intenti che prometteva una cucina più sostenibile, legata al territorio e alla stagionalità, capace di valorizzare le tradizioni locali e rispondere all’omologazione globale. A due decenni di distanza, Oslo celebra quell’utopia gastronomica con una mostra al Museo Nazionale: New Nordic. Cuisine, Aesthetics and Place, visitabile fino al 14 settembre 2025. Un movimento che ha sì reso più essenziale l’approccio alla cucina, ma che nell’immaginario collettivo ha poi dato vita alla nuova idea di “fine dining” in cui l’estetica ha un protagonismo esasperato rispetto alla sostanza.

La Nuova Cucina Nordica

Il movimento si proponeva come risposta a un’industria alimentare globalizzata, che aveva appiattito sapori e identità. L’idea era tanto semplice quanto ambiziosa: cucinare con ciò che il paesaggio nordico offriva, nel rispetto di natura, cultura e comunità.

Tra i firmatari del Manifesto, spiccano nomi ormai iconici come: René Redzepi (Noma, Copenaghen), lo chef-simbolo del movimento, celebre per l’uso di ingredienti estremi (formiche, licheni, muschi); Claus Meyer, cofondatore del Noma; Daniel Berlin, pioniere del zero waste e della cucina come narrazione territoriale; Eyvind Hellstrøm, Mikael Jonsson, Leif Sørensen, voci influenti provenienti da tutta la regione nordica.

Il movimento cercava di portare a tavola una filosofia ampia che collegava il cibo al mondo naturale, alla cultura e alle tradizioni locali, promuovendo un rapporto nuovo e più consapevole. Come afferma Martin Braathen, curatore della mostra: «Una carota non è solo una carota».

Le fono sono di The National Museum of Art, Architecture and Design/Ina Wesenberg

La mostra

L’esposizione racconta come questa corrente culinaria si sia intrecciata con altre espressioni della cultura contemporanea attraverso opere d’arte, oggetti e manufatti artigianali (provenienti dalla collezione del museo). L’interesse si è esteso anche ad arti e mestieri locali non culinari: arredamento, architettura, arti visive, ceramica e vetro. La cucina diventa espressione culturale totale: non solo piatti, ma fotografia, strumenti da pesca e da foraggiamento. Un’estetica coerente e minimalista, dove l’esperienza gastronomica si fonde con il design e l’etica ambientale.

Durante la mostra, il pubblico può partecipare a un programma di attività che include laboratori, uscite dedicate, raccolta di ingredienti spontanei e cene speciali curate da chef famosi. All’esterno, è presente un padiglione costruito in legno di betulla: qui viene servito caffè preparato sul fuoco vivo e limonate fermentate.

Uno dei piatti in evidenza è l’iconico sedano rapa dello chef svedese Daniel Berlin: la radice viene prima grigliata su fuoco vivo, poi cotta lentamente in carta stagnola per ore, la pelle carbonizzata diventa pane, le radici vengono usate per preparare un brodo e una salsa, e con le foglie si fa un’insalata: quasi zero sprechi. Questo gesto di cucinare ogni parte e darle valore, è il cuore della filosofia New Nordic e la mostra lo racconta attraverso un allestimento immersivo: disegni botanici, installazioni sonore e materiali organici riutilizzati.

Non mancano riferimenti alle pratiche del foraging, alla caccia, alla fermentazione e all’essiccazione: tutte tecniche antiche, riscoperte come risposta etica alla modernità. La mostra include servizi da tavola e opere d’arte provenienti da ristoranti simbolo della scena New Nordic, oltre a mappe, strumenti agricoli e fotografie che parlano dei paesaggi e del cibo che ne deriva.

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