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Spagna

30 anni di cucina tecnoemozionale. Dal ElBulli in poi: la rivoluzione senza nome

Senza nome non c'è identità, le avanguardie storiche ce l'hanno spiegato. E a 30 dalla rivoluzione spagnola oggi gli chef iberici ne cercano una.

  • 23 Giugno, 2025

Perché amo così tanto la Spagna? Me lo chiedo spesso: perché questo debole per la Spagna tra tutti i posti con una grande ristorazione? Non penso che il Disfrutar sia meglio del Reale, o che la cucina dei Roca valga più di quella di Crippa. È la Formula 1 della ristorazione, le preferenze sono più questione di gusti personali che di bravura. Beatles o Stones? Non a tutti piace il rock, non a tutti piace lo stesso rock. Cosa ha di diverso la Spagna allora? L’attitudine. Non di uno o l’altro, ma di tutti. Di un gruppo che sa prendere sul serio la cucina senza prendersi troppo sul serio, che condivide idee conoscenze e scoperte, supera divisioni guardando nella stessa direzione da prospettive e angolature diverse.

Madrid Fusión festeggia 30 anni di rivoluzione

Con questo spirito all’ultimo Madrid Fusión una cinquantina tra i maggiori chef del mondo ha celebrato il trentennale della rivoluzione spagnola. Quella condotta con fierezza e ardimento negli anni ’90 da ElBulli e da quel gruppo di pazzi scatenati che lo abitava. Un’utopia realizzata, un’esperienza ormai passata? Pensate quel che volete, non è questo il punto.

Il punto è il dopo: «Le rivoluzioni si misurano in base alle loro conseguenze» si è detto, e se ce ne è una che ha cambiato le sorti della cucina mondiale – decenni dopo la nouvelle cuisine e prima della nordica – è quella spagnola. I processi innescati sono ancora in corso: più che pensare a ElBulli come a una farfalla bloccata con lo spillo da un entomologo bisognerebbe pensare a quella farfalla il cui battito di ali può provocare un uragano. Senza la rivoluzione spagnola non avremmo molti strumenti e tecniche di oggi, né i menu degustazione, l’estetica minimalista, le miniature potenti come lampi, il dialogo con le scienze e le arti, l’ironia, l’apertura al nuovo (oggi in Spagna si indaga sull’intelligenza artificiale invece che rigettarla), la capacità di pensare in modo nuovo e reinventare i classici: «l’uso di prodotti di alta qualità e la conoscenza della tecnica per prepararli è data per scontata» diceva nel 2005 Ferran Adrià a ribadire che la nuova cucina non rinnegava la vecchia, e oggi ringrazia due maestri come Pedro Subijana e Juan Mari Arzak che potevano fermare quella rivoluzione e invece sono saliti sul carro. In quello slancio folle poetico e generoso c’è stato un grande errore: «Quella rivoluzione non aveva un nome». E senza nome non c’è identità, si è destinati all’oblio; le avanguardie storiche ce l’hanno spiegato. In questi termini Madrid Fusión ha segnato un momento di maturità: la consapevolezza di dover fare un passo avanti, di definirsi e consolidare senza cercare a tutti i costi una nuova rivoluzione. Accompagnata, da un’altra consapevolezza: quella del Governo spagnolo, che nel 2022, ha attivato El plan turístico nacional de enogastronomía: 68.612.000 di euro.

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