Il conto alla rovescia è iniziato. Tre ministeri (Agricoltura, Esteri e Salute) e le principali sigle del vino italiano convocate a Palazzo Chigi, per trovare una soluzione sia alla scure dei dazi negli Stati Uniti sia al nodo promozione. L’incontro fissato lunedì 4 agosto ha un obiettivo preciso: salvare i conti del vino italiano dopo i dazi al 15% annunciati da Trump. «Il vino è quello che preoccupa di più», ha ammesso il ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida che, fino a poche settimane fa, aveva sempre cercato di vedere il bicchiere mezzo pieno. Ora, però, è arrivato il momento di fare i conti con la realtà. Mai come prima il vino sembra messo all’angolo, con un corollario di incognite che appaiono ingovernabili (a partire dagli attesi rincari nella catena distributiva e dall’effetto cambio euro-dollaro) e che mettono in dubbio – a detta delle stesse associazioni – la sopravvivenza e la sostenibilità economica di intere filiere e denominazioni.
E c’è di più. Dall’autunno, il settore dovrà fare i conti con la prossima dichiarazione Onu sulle malattie non trasmissibili, che cercherà in tutti i modi di bollare il vino come pericoloso per la salute. Motivo per cui, già nelle settimane scorse, la filiera aveva scritto una lettera alla premier Giorgia Meloni che invitava le istituzioni ad avviare una campagna istituzionale contro le ideologie negative sul vino. I temi sul tavolo sono tanti e tutti urgenti. Le soluzioni diverse, ma con un minimo comune denominatore: la promozione.
Il ministro Francesco Lollobrigida, appena una settimana fa, ha annunciato di aver trovato un miliardo di euro per l’agricoltura nella prossima legge di bilancio. Ora, probabilmente, il Governo dovrà pensare a come reperire nuove risorse per sostenere uno degli alfieri del made in Italy. Uno di quei settori, il vino, a cui la stessa premier Meloni, che lo considera un «asset strategico», non può assolutamente voltare le spalle.
In attesa dell’incontro, le associazioni di categoria non hanno esitato a indicare la strada. Lo hanno fatto attraverso il Gambero Rosso. Perché il momento è molto delicato e perché il vino si trova in un pericoloso limbo. Al di là delle speranze sempre più flebili che, nelle prossime settimane, l’Ue riesca a esentare il vino dal dazio Usa (facendo entrare il comparto nell’oasi delle zero for zero tariffs), resta la consapevolezza, da un lato, di non poter dipendere eccessivamente da un’unica piazza nei mercati internazionali e, dall’altro lato, di dover studiare rapidamente un modello di comunicazione e promozione che guardi ai consumatori del futuro, evitando allo stesso tempo i colpi dei pregiudizi sul consumo di alcolici, che rischiano di far finire il prodotto vino, con tutto il suo portato storico-culturale, nell’elenco dei cattivi. Resta il dilemma “ristori sì, ristori no”, che divide le posizioni.
È nettamente contraria ai ristori la posizione di Unione italiana vini, come emerge dalle parole del presidente Lamberto Frescobaldi: «In un contesto di incertezza come quello attuale, generato dalla situazione dei dazi negli Stati Uniti, nonché dalle difficoltà strutturali che il settore affronta, non chiediamo ristori. Abbiamo bisogno di interventi specifici, affinché il pedale dell’acceleratore sugli investimenti sul mercato Usa non si fermi. Sarà fondamentale premere sulla promozione diretta e indiretta coordinata con le imprese, in primis nel mercato americano per sostenere i brand in un contesto di aumento generale dei prezzi e dei costi. Anche il mercato Ue e nazionale dovranno essere presidiati. Nel frattempo, è essenziale lavorare sulla diversificazione e sugli accordi di libero scambio, Mercosur in testa, che ci auguriamo possa essere approvato a breve».
Lamberto Frescobaldi – presidente Uiv
Diverso il punto di vista di Federvini che porterà due richiesta al Governo Meloni: «Il primo obiettivo è permettere alle imprese di restare sul mercato Usa», che per i comparti vini, spiriti e aceti vale complessivamente 2,5 miliardi di euro e il 25% dell’export totale. «Mercato non sostituibile» dice il presidente Giacomo Ponti, che per il vino chiede «misure europee straordinarie» e un «utilizzo più flessibile e potenziato» dei fondi Ocm Promozione. «L’annualità in corso – spiega la Federvini – ha visto un impegno significativo da parte di Ministero e imprese, ma oggi dobbiamo immaginare aliquote rafforzate e regole ancora più snelle». In materia di spiriti e aceti, comparti fuori dal perimetro della Pac, servono «strumenti dedicati: dazi, dollaro debole e blocco del mercato cinese stanno creando una vera tempesta perfetta». In questo contesto, secondo la Federvini, l’Ice può giocare un ruolo decisivo, rafforzato in risorse e strumenti. Infine, l’organizzazione dice «sì alla diversificazione dell’export, ma senza dimenticare che senza la tenuta del mercato americano, rischia di sgretolarsi un pilastro fondamentale del made in Italy agroalimentare».
Giacomo Ponti – presidente Federvini 2025
La Cia-Agricoltori italiani siederà al tavolo il 4 agosto mettendo l’accento su due aspetti. Il primo legato ai ristori per le imprese danneggiate dall’effetto dazi e il secondo sulla necessità di lavorare a una comunicazione innovativa verso le nuove generazioni. Per quanto riguarda i dazi, il presidente Cristiano Fini ricorda che gli americani sono affezionati al vino italiano e che, pertanto, considerando l’importanza di questo mercato, occorre «pensare a un modo per indennizzare le imprese per i maggiori costi sostenuti per esportare negli Usa». Risorse che possono essere straordinarie o anche reperite nell’ordinarietà dei fondi comunitari non interamente spesi. «Sarebbe un modo – dice Fini – per indennizzare le aziende dell’effetto dumping, che sarà superiore alle attese, considerando l’incremento dei costi lungo la filiera distributiva e la svalutazione del dollaro». Sul secondo fronte, la Cia chiederà di mettere in campo una nuova comunicazione sul vino, prevalentemente con risorse dell’Ocm promozione, che faccia un po’ meno leva su elementi classici come il terroir e punti, invece, su aspetti semplici e immediati «in grado di arrivare a un target giovanile, che rappresenta il consumatore del futuro». Il sindacato, infine, insisterà sulla necessità trovare e aprire nuovi mercati.
Cristiano Fini – presidente Cia Agricoltori italiani 2022
Confcooperative-Fedagripesca, attualmente al lavoro per supportare le diplomazie in modo da strappare le migliori condizioni possibili, guarda agli strumenti da mettere in campo. A partire da un aumento del contributo a fondo perduto fino all’80% per i progetti di promozione negli Usa in ambito Ocm vino, come spiega il responsabile vino, Luca Rigotti. Il sindacato chiede di eliminare il limite dei 5 anni per le campagne di promozione nei Paesi terzi, la possibilità di realizzarle utilizzando un importatore o un distributore di cui l’impresa detiene una partecipazione societaria, la firma di nuovi accordi di libero scambio «in un doveroso processo di differenziazione dei mercati, come India e Mercosur – sottolinea Rigotti – consapevoli che una misura del genere richiede anni per portare qualche beneficio e sicuramente nel breve/medio periodo non compenserà eventuali perdite da mancate vendite o minori margini negli Usa».
Non da ultimo, Confcooperative insiste su una campagna di informazione istituzionale, in Italia e nei mercati più attrattivi (Usa, Canada, Giappone e Uk) che educhi il consumatore a un consumo consapevole, legato ai territori, all’abbinamento ai cibi secondo la dieta mediterranea «che descriva sia i benefici di un consumo moderato sia i danni da un abuso». Una campagna di informazione, ha concluso Rigotti, che «sganci il prodotto vino dal solo riferimento al contenuto alcolico e che ne difenda la reputazione contro le continue tendenze no-alcol».
Luca Rigotti – responsabile settore vitivinicolo di Confcooperative-Fedagripesca
Rita Babini – presidente Fivi
La Federazione vino di Confagricoltura, presieduta da Christian Marchesini, riunita in questi giorni prima della vendemmia 2025, punta i fari sul rilancio della domanda e chiede il rinnovo e il rafforzamento di una comunicazione che «contrasti una narrazione sempre più diffusa che tende a sminuire la cultura del bere bene». Come evidenzia il sindacato di Palazzo Della Valle, il vino sempre più spesso «è assimilato indiscriminatamente ai rischi dell’abuso alcolico, allontanandosi dai modelli di consumo consapevole, soprattutto tra le nuove generazioni». Ecco perché, secondo Marchesini, è importante potenziare la promozione nei Paesi terzi «rendendo le attività più flessibili e maggiormente adattabili alle reali esigenze delle imprese e dei mercati di riferimento». Un quadro generale, secondo il sindacato presieduto da Massimiliano Giansanti, che richiede in ogni caso strumenti correttivi per ridurre le produzioni di vino e affrontare il tema esuberi: dalla gestione delle nuove autorizzazioni di impianto alla regolazione delle rese, sia per i vini comuni che per quelli a denominazione.
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