Lo scorso 30 giugno il Consiglio dei ministri ha approvato il nuovo decreto flussi, il piano per far entrare in Italia dal 2026 al 2028 circa mezzo milione di lavoratori stranieri. Un via libera definito da Palazzo Chigi «indispensabile per attrarre manodopera necessaria e altrimenti non reperibile», a conferma di una piena consapevolezza della crisi di braccianti in campo agricolo, ad esempio. Eppure, non è una novità che il governo faccia finta di ignorare il fatto che senza migranti non si produce né frutta né verdura. È la «doppia ipocrisia» segnalata da Tito Boeri sulle pagine di la Repubblica. Un doppio standard in cui da un lato si autorizzano grandi numeri di ingressi, dall’altro si alimentano retoriche che minimizzano la necessità di immigrati, soprattutto in settori nevralgici come l’agricoltura. Il tutto mentre le forze di centro sinistra dimenticano di aver adottato politiche restrittive per ragioni politiche in passato.
Nel suo editoriale l’economista italiano sottolinea come questa contraddizione politica nasconda una realtà economica ineludibile. «Il nostro Paese, di fronte al calo delle nascite e all’invecchiamento della popolazione, ha un assoluto bisogno di manodopera immigrata per coprire milioni di posti vacanti». Il settore agricolo, insieme al turismo e ai piccoli esercizi commerciali, è tra quelli che più dipendono dall’apporto degli stranieri. Tuttavia, nonostante l’approvazione di decreti flussi con numeri fino a tre volte superiori rispetto ai governi precedenti di centrosinistra, il centrodestra «continua a demonizzare l’immigrazione, alimentando paura e pregiudizi».
Secondo Boeri, questo doppio gioco non è solo una questione di numeri, ma si traduce in una gestione inefficace delle procedure d’ingresso. I lavoratori stranieri spesso restano in un «limbo burocratico» che dura anni, un ritardo che favorisce «lavoro nero, sfruttamento e marginalità sociale». Non si tratta solo di fare entrare lavoratori, ma di «investire nella loro integrazione», dalla conoscenza della lingua italiana ai percorsi di cittadinanza, spiega il professore. Il rischio è che senza un cambio di passo si creino «ghetti sempre più numerosi», perché «un Paese che vuole tenersi le braccia, ma non vuole occuparsi delle persone, si espone a rischi per la coesione sociale».
Senza politiche più efficaci e lungimiranti, l’agricoltura italiana rischia così di perdere un pilastro imprescindibile della propria manodopera. Basti pensare che, secondo l’ultimo rapporto del Crea, chi lavora nei campi, in molte zone d’Italia, è quasi per un terzo straniero e stagionale. Come evidenziato da Boeri, senza questa forza lavoro la produzione agricola italiana perderebbe gran parte della sua capacità operativa e competitiva, con riflessi sull’intera filiera produttiva e conseguenze anche sull’export agroalimentare, già messo a rischio dalle politiche protezionistiche di Donald Trump.
Il messaggio dell’economista è chiaro: «È indispensabile che l’immigrazione diventi funzionale rispetto alle esigenze del nostro sistema produttivo e sociale». Un cambio di passo necessario, per smettere di giocare con le paure e iniziare a valorizzare concretamente l’apporto degli immigrati. Perché l’emergenza manodopera non si risolve soltanto smaltendo quote e ingressi, ma con una strategia a lungo termine che risponda alle carenze dell’agricoltura italiana e del sistema produttivo nazionale.
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