Perché il cinema – se vuole raccontare la fatica del lavoro, e il sacrificio della vita privata – fra i tanti mestieri che potrebbe scegliere molto spesso mette in scena quello dello chef? La tendenza è così vera che il Festival di Cannes 2025 ha scelto come film d’apertura “Partir un jour“, diretto dalla francese Amélie Bonnin. La protagonista, Cècile, è una diva gastro-televisiva che ha rinunciato a “vivere” pur d’inseguire le fatidiche stelle, aprendo a Parigi il suo primo ristorante gourmet.
C’è poco da fare, la presenza dentro le guide dei ristoranti, Michelin in testa, per uno chef continua a essere la cosa più gratificante, anche se il rapporto investimenti/ricavi è (per definizione) molto spesso in perdita. E anche se si è protagonisti di un programma di cucina di successo. È così che Cècile, il volto di Top chef, pur di nutrire questa “ossessione” lascia il ristorante di famiglia, e gli amici, e un potenziale amore, creando a Parigi un nuovo spazio di vita soprattutto professionale: il compagno (che è anche il suo socio) non sembrerebbe essere infatti l’amore della sua vita, perché quando a inizio film Cècile scopre di essere incinta, neanche glielo dice, preferendo “risolvere” la cosa da sola. A mescolare le carte interviene però il destino: il padre subisce il terzo infarto, e visto che non vuole lasciare la cucina del suo “L’escale”, una trattoria frequentata soprattutto dai camionisti, Cècile decide d’interrompere la ricerca del suo signature dish per andare a trovarlo. Lì capisce che c’è bisogno di lei, in una cucina che continua a sfornare bourguignon e macedonie come fossimo sempre negli anni ’70: è così che – la sera in cui reincontra gli amici di un tempo, e l’amore mancato della sua vita – il giorno programmato diventa un tempo indefinito.
Molti chef direbbero che il cinema riconosce nel mestiere dello chef il binomio logorio/perdita del privato “perché è cosi”, cioè perché e il lavoro più faticoso di tutti (sia a livello fisico, che psicologico), ma noi crediamo che il motivo risieda anche nel fatto che si tratta di un mestiere bello da mostrare, cioè molto cinematografico, pure nel suo cotè stressante. Non è quindi un caso che “Partir un jour” abbia scelto di raccontare questa storia universale attraverso una parodia del musical: un po’ perché le canzoni sono poche, un po’ perché (ironicamente) in una scena un attore smette di cantare non appena entra in scena un altro personaggio, come se fosse stata una cosa non prevista dal copione. Ebbene si, il cane di famiglia, cioè dei genitori di Cècile, si chiama Bocuse. Si tratta di una citazione affettuosa, oppure di una frecciata a uno dei padri della cucina francese? Vedete un po’ voi, molto dipenderà dal fatto che amiate i cani oppure no: nel primo caso la scelta avrà il sapore della cosa familiare, quindi piena d’amore; nel secondo caso, invece, potrà richiamare un antipatico modo di dire (“quel cane di…”), assumendo quindi un gusto assai poco piacevole.
Niente di nuovo, tutti noi conosciamo almeno uno chef importante che, quando deve pensare al proprio palato, abbandona i raffinati fornelli per darsi alle pizze industriali, se non ai fast food. Cècile non è da meno, nel fotografare quest’altra tendenza: a parte i momenti in cui è con gli amici, nei quali può starci il fatto di mangiare delle cose facili e popolari, quando è da sola si ciba di patatine e di Haribo, a sottolineare quanto il bisogno prevalente di noi umani, chef compresi, risieda nel cibo comfort. Per il momento, il film non ha una distribuzione italiana, anche se ci sono varie trattative in corso. Potete star però certi che “Partir un jour” uscirà anche nei cinema di tutta Italia, la storia è una di quelle amate dagli algoritmi di casa nostra.
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