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L'intervista

Un marchio per l'agrifood "Made in Lazio". Il governatore Francesco Rocca non esclude l'ipotesi di un brand ombrello per la promozione

Dopo lo stop di dieci anni fa, il progetto potrebbe riprendere vita. Il presidente della Regione: "Rafforzeremo il ruolo di Dop e Igp: oleoturismo ed enoturismo leve strategiche di investimento"

  • 12 Maggio, 2025

La Regione Lazio proseguirà a promuovere le produzioni agricole e agroalimentari, senza escludere la possibilità di dare vita a un nuovo marchio regionale collettivo per l’agrifood, nonostante una decina di anni fa arrivò lo stop della Consulta all’iniziativa dell’allora giunta guidata da Renata Polverini, che aveva lanciato il brand di qualità Made in Lazio.

Ora, mentre si assiste a un forte rilancio del comparto e, a tratti, a una quasi sovraesposizione dei prodotti regionali, il governatore Francesco Rocca spiega in questa intervista al settimanale Tre Bicchieri gli obiettivi dell’esecutivo nel settore delle produzioni di qualità del settore primario, a cui sia l’assessore all’Agricoltura, Giancarlo Righini, sia l’Arsial guidata dal commissario Massimiliano Raffa, stanno dando una spinta molto forte. È recente la firma con il Crea di un accordo o fa senza escludere «ulteriori opzioni di valorizzazione mediante marchi regionali».

Dal punto di vista enogastronomico, il Lazio, come altre regioni italiane, rappresenta un unicum. Ultimamente, alcuni suoi prodotti e ricette storiche, dalla carbonara al maritozzo fino alla pinsa, stanno conquistando sempre più spazio sia nel canale del fuori casa e non solo nel Lazio. Come spiega questo fenomeno? Cosa sta cambiando?

Ci stiamo lasciando indietro, e direi finalmente, una modalità fast di consumazione del cibo. Sempre più persone apprezzano invece un modello slow, fatto di produttori locali e piccole realtà. La nostra enogastronomia racconta una storia antica, fatta di eccellenze e di tradizioni importanti. A noi spetta il compito di mettere a sistema tutto questo patrimonio, che è anche culturale, promuovendolo anche oltre i confini nazionali.

Oltre dieci anni fa il marchio agroalimentare “Made in Lazio” fu considerato illegittimo dalla Consulta, che si oppose a una specifica legge regionale. Quali altre simili strade ritiene percorribili per comunicare la provenienza delle materie prime e l’appartenenza di una produzione al territorio?

Va fatta una premessa sui marchi regionali registrati negli ultimi 20 anni: il “Made in Lazio” è stato l’unico marchio regionale che venne a suo tempo impugnato dal Governo innanzi alla Consulta. Ve ne sono numerosi altri del tutto analoghi per i quali i numerosi governi succedutisi nel tempo non hanno ritenuto di dover contrastare la volontà delle amministrazioni regionali.

E voi come intendete agire?

Resta prioritaria la volontà regionale di rafforzare il ruolo delle Dop e delle Igp, considerato che il Lazio annovera per il food 16 Dop, 14 Igp e 4 Stg. Altre 4 Dop/Igp sono in itinere. Mentre, per il vino, abbiamo 3 Docg, 27 Doc e 6 Igt che sono marchi europei normati, oltre a 5 marchi collettivi geografici già registrati da piccoli sistemi produttivi locali, cui si affianca una platea di 492 Prodotti agroalimentari tradizionali (Pat), per i quali il Lazio è seconda solo alla Campania in ambito nazionale. Tante filiere agricole hanno peculiari referenze di limitata scala produttiva ma un valore strategico per il sistema di offerta della ricettività, soprattutto per le aree interne nelle quali sia oleoturismo ed enoturismo sono leve strategiche su cui la Regione Lazio sta investendo risorse finanziarie di notevole entità.

Quali margini di manovra vi restano?

Non escludiamo, in ogni caso, ulteriori opzioni di valorizzazione mediante marchi regionali, consapevoli che i marchi collettivi geografici implicano la necessità di una pianificazione condivisa coi portatori di interesse, atteso che la loro promozione ha costi molto significativi.

Lei ha dichiarato che guardare il mondo agricolo con gli occhi degli imprenditori è tra i vostri obiettivi. Come affronterete i grandi problemi del settore, dalla filiera ovina a quella del kiwi, dall’ortofrutta alla zootecnia interessata dalla peste suina?

Molte filiere sono interessate da criticità parassitarie. Insieme all’assessore all’Agricoltura, Giancarlo Righini, abbiamo fatto un lavoro straordinario su questo. Il Comitato permanente europeo ha recentemente dato il via libera alla richiesta di far uscire il Lazio dalla zona di restrizione per la Peste suina africana. Una decisione che ci riempie di orgoglio, anche considerato che siamo tra i primi in Italia a raggiungere questo risultato. È stato, infatti, riconosciuto l’enorme lavoro svolto dall’amministrazione regionale per eradicare la malattia che ha colpito in particolare il territorio di Roma, e alcune aree della provincia, delimitato come zona rossa a causa dell’elevato numero di capi infetti. Continueremo a tutelare e a difendere tutte le nostre filiere agricole e produttive.

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Risale al 15 aprile scorso l’accordo quadro, quadriennale, col Crea per lo sviluppo integrato delle aree rurali e delle filiere produttive.

Sì, siamo impegnati nel rilancio di un settore fondamentale per l’economia regionale. La salvaguardia e la protezione delle nostre produzioni, in particolare quella del kiwi, dove il Lazio è primo su scala nazionale, sono al centro di questa azione congiunta. Il cambiamento climatico impatta e impatterà sempre di più. Compito delle istituzioni è mitigarne le conseguenze, accompagnando ricercatori e produttori. Questo accordo, immediatamente operativo, mira a raggiungere tali obiettivi, creando anche una valorizzazione culturale delle professioni legate al mondo della terra e di chi se ne prende cura.

Kiwi coltivazioni – foto Pixabay

 

Chiudiamo con una domanda sul vino. Che rapporto ha con questo prodotto? Quale non manca mai nella sua tavola?

Premesso che parla con una persona pressoché astemia, non disdegno un calice di bollicine per brindare con gli amici. Per il resto, bianco, rosso o rosato, lascio la scelta a chi se ne intende, purché siano vini di qualità.

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