Turismo, croce e delizia

"A bloccare l’Italia non è l'overtourism ma la disorganizzazione dei comuni". La critica di Aldo Cazzullo

Niente infrastrutture e pochi servizi. Aldo Cazzullo, sul Corriere della Sera, ribalta la prospettiva sul fenomeno del turismo di massa

  • 19 Luglio, 2025

Siamo proprio sicuri che il turismo di massa sia il nemico pubblico numero uno d’Italia? Se lo è chiesto di recente Aldo Cazzullo sulle pagine del Corriere della Sera. Nella sezione dedicata alle lettere, lo scorso 17 luglio, l’editorialista ha invitato a riflettere su un tema spesso frainteso. Tra carenze nella gestione turistica e infrastrutture ferme negli anni, il problema del sovraffollamento in città d’arte e località di mare nostrane sembrerebbe risiedere altrove. Secondo il giornalista, il nodo non deriverebbe tanto dal numero assoluto di turisti, quanto dalla gestione di questo flusso. Una tesi avvalorata dai numeri – che vedono l’Italia solo al quinto posto al mondo per volume di visitatori – in una falsa emergenza che porta a chiamare «overtourism quella che è semplicemente mancanza di organizzazione». 

Paesi a confronto

Basta confrontare i dati sulle presenze turistiche nelle principali destinazioni d’Italia. Come raccontato nella rubrica “Lo dico al Corriere”, la Sardegna e la Sicilia, con le loro coste rispettivamente di quasi 1.900 e oltre 1.650 chilometri, godono di un patrimonio naturale e culturale vastissimo. Eppure nel 2024, mentre le Canarie – con soli 1.500 chilometri di costa – hanno accolto 14 milioni di turisti, e le Baleari quasi 19, le due grandi isole italiane si sono fermate rispettivamente a 4,5 milioni e 5,8 milioni di visitatori. Risultati indicativi, specie considerando che nessuna delle due compare tra le prime otto regioni più visitate d’Italia.

Il motivo di questa differenza: strategie e qualità degli investimenti. Le Canarie e le Baleari, spiega Cazzullo, «hanno puntato su voli diretti dalle grandi città del Nord Europa, dove a maggio fa ancora freddo e a novembre si gira in cappotto, mentre nel Sud del Mediterraneo si fa ancora il bagno». In aggiunta, l’offerta turistica spagnola è strutturata per garantire servizi e disponibilità continue. «Nelle regioni turistiche della Spagna, dalla Catalogna all’Andalusia, molti ristoranti sono aperti tutto il giorno, dalla colazione alle cene notturne». Al contrario, «in Sicilia e Sardegna – racconta lo scrittore – pranzare dopo le due e mezza è praticamente impossibile». Un dettaglio apparentemente minore, che segnala però mancanza di ricettività.

Poche strade, pochi servizi

Le carenze più evidenti riguardano anche viabilità e strade. Le opportunità di sviluppo, si legge, sono frenate da aeroporti minori siciliani come quelli di Trapani e Comiso che «non sono mai decollati», mentre la viabilità verso l’aeroporto di Catania è spesso congestionata su una «stradina a due corsie, in cui si creano inevitabilmente affollamenti». Ma la stessa inefficienza si riscontra anche altrove, come testimonia un recente viaggio di Cazzullo in Toscana. «Quattro ore di automobile, rallentate da cantieri continui e da una mobilità pubblica insufficiente», racconta. 

Il problema non è dunque semplicemente legato ai visitatori, ma a un’organizzazione che non riesce a gestire la loro presenza in maniera adeguata, creando congestioni, disservizi e lamentele. Perché il turismo il turismo di qualità «non vuol dire solo alberghi e ristoranti, ma ha bisogno di reti e collegamenti e anche di arte e spettacolo. Richiede architetti, ingegneri, interpreti, guide specializzate, artisti». E nel momento in cui tanti talenti restano inutilizzati, l’intero comparto perde potenzialità, mancando quel salto di qualità indispensabile per una gestione virtuosa.

Ecco perché, più che contingentare gli ingressi e respingere le orde di turisti, secondo Cazzullo sarebbe più utile spostare la riflessione sulla pianificazione di infrastrutture più efficienti, per pensare a «uno sviluppo sotto ogni aspetto possibile per le nostre isole». La sfida è anche culturale. Abbandonare la categoria del nemico pubblico numero uno e abbracciare l’idea che a volte chiamiamo overtourism quello che overtourism non è.

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