Gli Italiani e il complesso di inferiorità verso i vini francesi: ormai anche le pozzanghere sanno di Provenza

29 Dic 2023, 14:37 | a cura di
La critica enologica italiana ha una diffusa tendenza: paragonare tutto alla Francia. Ma ha senso?

Cercare paragoni è il passatempo preferito di chi degusta. L'operazione è di per sé virtuosa e comprensibile: tutto ciò che sentiamo in un vino è pura immaginazione, ricostruzione. Senza scomodare i sentori più o meno fantasiosi del lessico enologico, dove le fragoline sono sempre di bosco e la rosa squisitamente canina, a sorprenderci è una certa passione esterofila. Denota un complesso d'inferiorità verso i cugini francesi, in taluni casi teutonici.

Critici a confronto ed esterofilia

Immaginiamo di avere nel bicchiere un Franciacorta che ci sorprende per bontà, piacevolezza, complessità, dalle fragranti sensazioni di lieviti. Al 98,87% l'autorevole Critico 1 esclamerà: «Sembra uno Champagne!». Proseguiamo con un Fiano di Avellino strepitoso, ha dieci anni sulle spalle che non ne hanno scalfito per nulla freschezza, né armonia, né profondità, anzi. Non si avvertono sentori di idrocarburi, Q8 e cherosene, eppure il puntiglioso Critico 2 è già pronto: «Un Riesling!». Non un Riesling qualunque, viaggiamo tra le pendenze da capogiro della Mosella, il Palatinato già non gode dello stesso appeal, nemmeno l'Austria, figuriamoci la stessa varietà in Australia. Se un bianco italiano sfida il tempo con così tanta grazia, sia esso un Fiano di Avellino, un Greco di Tufo, un Soave Classico o un Etna Bianco, che spesso invecchiano meglio di tanti nostri rossi, va associato a qualcosa che viene da fuori. Se l'aromaticità di un bianco, poi, è particolarmente precisa, definita e luminosa, il professore e Critico 3 ha già il jolly in tasca: «Alsaziano, non trovi?».

 

La magia provenzale e la terra maestra

I riferimenti diventano particolarmente forti e calzanti quando ci spostiamo sul terreno dei rosati. In casa non mancano territori vocati per il vino in rosa, con espressioni di grande carattere e intensità, pensiamo alla Valtènesi, alla Puglia, all'Etna, a quel meraviglioso vino gastronomico che è il Cerasuolo d'Abruzzo. Eppure, la via maestra è una sola: la Provenza. Ci sono produttori, tra il Gran Sasso e l'Adriatico, che sono riusciti a snaturare il Montepulciano pur di ricalcare colori pallidi e tratti delicatamente floreali, fiori francesi ça va sans dire. Un rosato d'impareggiabile eleganza? Il Critico 4, che incensa vini italiani ma tra le mura domestiche beve solo Rodano degli anni '80, adopererà parole al miele per definirne lo stile provenzale ormai sinonimo di bellezza più che di denominazione. Anche davanti a una pozzanghera che riverbera i raggi del tramonto penserà tra sé: «Magia provenzale». Il meglio lo raggiungiamo però quando si parla di religione, la più diffusa nel mondo del vino: la Borgogna. Qualsiasi vino oggi è descritto, e sempre più prodotto, pensando allo spirito leggiadro della terra maestra. Che tu sia Taurasi o Amarene, a Digione ti porterem.

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