Trastevere è il rione romano dove più che in ogni altro luogo la “verità” coincide con la finzione e con il folklore. L’assedio turistico è quasi una condizione ontologica in questa sorta di galassia dove ci si perde tra storia e riti moderni. Il cinema è a Roma una delle prime fonti di “verità” e di finzione che insieme ne disegnano – almeno in parte – storia ed essenza. Il Ciak, nel cuore di Trastevere, è un pezzo di questa identità e insieme un piccolo angolo di paradiso nella bolgia dell’overtourism. E propone, oltre a una buona cucina romanesca, carni tra le migliori di Roma e una polpetta di bollito da primato.
L’osteria affonda le radici nell’epoca dei “fagottari” tra fine ‘800 e i primi del secolo scorso e arriva fino a oggi passando attraverso gli anni d’oro di Cinecittà fino alle più attuali tendenze fatte di vini naturali e di marezzatura e frollatura delle carni. Insomma, un’insegna che si inserisce nella più profonda anima trasteverina e al tempo stesso se ne tira fuori per qualità e atmosfera.
Il Ciak – che prende questo nome negli anni ’70 – nasce come un classico Vini e Oli dove si andava portandosi il cibo nei “fagotti” e si beveva vino della casa. Un’osteria vera, che negli anni del boom diventa osteria di pesce col nome di Bisaccia. «È nel 1972 che entra in scena un attore toscano, Paolo Celli. È lui che dà al locale la dimensione che tutt’ora mantiene». Parla Valerio Calderoni, 38 anni, che insieme al fratello Andrea e al padre Mimmo porta avanti il nuovo corso dell’osteria. «Celli, anima inquieta, un vero personaggio innamorato di cinema e di cucina, fece di entrambe le passioni della sua vita anche il suo lavoro. Amava Trastevere e decise di fare qui il suo locale. Cucina toscana, fegatelli e ragù di cinghiale… Ma non erano ancora i tempi giusti: non faceva una lira. Così nel giro di qualche anno decide di cambiare: mette un camino con griglia all’ingresso e appende sulla soglia la cacciagione che gli portavano i cacciatori locali – racconta Valerio – Comincia il successo. Che esplode quando a Roma Coppola gira le scene del Padrino. Tutti gli attori venivano a mangiare qui. Inizia il giro dei personaggi. Celli diventa il cuoco di Coppola e di Al Pacino». Sono gli anni d’oro, tra i ’70 e gli ’80, che le foto con attori e vip raccontano ancora oggi sui muri del Ciak.
All’inizio del nuovo millennio, però, Paolo Celli comincia a essere avanti con l’età e vorrebbe vendere. Ma il suo obiettivo principale è dare un futuro all’insegna che contiene la sua anima. Non ci pensa neppure di dare via Il Ciak ai nuovi “imprenditori” della ristorazione capitolina. Vuole che la sua creatura continui ad avere un’anima popolare e da jet set al tempo stesso. Vuole che rimanga “l’anima trasteverina”, che non scompaiano le tovaglie a quadretti: «Che per lui non sono solo estetica, ma anche sostanza», sorride Valerio. Da quelle parti bazzica suo papà, Domenico Calderoni, frequentatore del rione che diventa amico e confidente di Celli. E che soprattutto condivide con lui l’amore per le osterie e per le tovaglie a quadretti.
«Insomma – fa Valerio – da un giorno all’altro mi ritrovo con una nuova vita. Io ero un pilota di moto d’acqua, facevo i campionati mondiali e sono stato per due volte campione del mondo. Era il 2004, mio padre mi chiama e mi fa: “C’è bisogno di te. Abbiamo preso Il Ciak”. Così, io mi divido tra sport e ristorazione. Paolo Celli resta con noi fino al 2009. In quell’anno vinco il campionato. E vinco anche un lavoro fisso nell’osteria! Anche a me piaceva mangiare bene, ogni trasferta per le gare n tutto il mondo era l’occasione per provare cucine nuove, insegne di un certo livello. Ma era una cucina molto internazionale. Il Ciak era tutt’altra cosa. Insomma, per farla breve, resisto fino al 2011 e vinco un altro mondiale, poi la scelta diventa inevitabile». Così Valerio si ferma a Trastevere. Dove Paolo Celli gli passa l’amore per la ciccia e per la griglia, oltre a due ricette: le pappardelle al cinghiale e quelle al ragù bianco d’anatra, che sono ancora in carta e sono i due piatti pasta migliori. Ma è la carne il terreno su cui Valerio fa i suoi passi migliori.
«La passione per la carne me l’ha trasmessa Paolo e questo io ho portato avanti, mi sono interessato a questo mondo. A un crti punto, poi, sono esplose le mode della marezzatura e della lunga frollatura. Io fino al 2015 avevo una cella convenzionale, non frollavamo a secco. Solo dal 2020 abbiamo preso le celle per il dry aging: controllando con il ph-metro ora alterniamo la frollatura tradizionale con quella a secco scegliendo i lombi più adatti per tirare avanti a lungo e con un ph tra 5.2 e 5.5, ovvero una carne in perfetto stato di salute che non ha subito sbalzi di temperatura». Ma qui la particolarità non è solo la frollatura. Anzi. Qui si trovano alcune tra le migliori carni sul mercato italiano che solo pochissimi possono vantarsi di avere sotto lo stesso tetto. «Beh, intanto la linea “5 costole” di Michele Varvara a Roma ce l’ho solo io – si inorgoglisce Valerio – La mia famiglia è originaria della Basilicata, al confine con la Puglia. Da ragazzino ci passavo mesi interi, mi perdevo nei pascoli immensi di quelle zone, dove le mucche giravano libere tutto il giorno. Quando ho iniziato il nuovo lavoro da oste, ho cominciato a girare per locali: volevo capire, vedere, conoscere i migliori luoghi della cucina tradizionale, ma anche le tendenze più innovative. Andavo spesso da Marzapane e siamo diventati amici con Mario Sansone, anche lui con radici a Sud. È stato lui a raccontarmi degli allevamenti e della macelleria di Varvara, ad Altamura: voleva farmelo conoscere, a me che trattavo soprattutto carne. Complice anche il ricordo delle mie vacanze intorno a Matera, ci siano conosciuti e ci siamo piaciuti. Michele ha cominciato ad aprirmi un vero e proprio mondo, quello dell’allevamento estensivo e di qualità, delle vacche alimentate a erba. E dal 2018 abbiamo cominciato a lavorare insieme. Lui mi dà i lombi delle sue pezzate rosse e nere, delle jersey. Delle podoliche e delle grige alpine che alleva a pascolo e con un po’ di integrazione di cereali, avena e orzo. Niente mais, niente soia. E sempre lui, quando riesce, mi manda i suoi polli, sempre allevati liberi e felici».
Entrando da Ciak, l’occhio va subito al grande camino con griglia che è ancora oggi l’anima del locale. Sui ferri bistecche di vario genere, salsicce e braciole da maiali neri dei Nebrodi allevati allo stato brado da Luisa Agostino nei boschi intorno a Mirto; appese le golosissime picanha (parola brasiliana per il codone di manzo o punta di sottofesa) rovesciate e avvolte nel loro grasso che si scioglie al calore della brace. I tagli di diverse frisone e le picanha insieme a salsicce e braciole sono in attesa nel banco frigo sulla soglia del locale; poco oltre le due celle con lombi monumentali, colori di terra segnati dal tempo e uno stranissimo grasso giallo quasi fluo, legato all’alimentazione delle vacche allevate non in Italia ma selezionate da due fratelli toscani: è con queste lombate che lo scorso anno Il Ciak si è classificato al terzo posto nel Golden Steak di Testaccio. Tra i “monumenti” che sfidano il tempo, poi, ci sono i lombi che provengono dagli allevamenti galiziani di Discarlux, azienda che ha dato vita al progetto “Fisterra Bovine World” e che prevede solo pascolo e pochissima integrazione controllando l’intera filiera. «Poi, diversi tagli li prendiamo anche al mattatoio di Roma: vacche vecchie, soprattutto spagnole di una decina e più anni», spiega Valerio.
Una storia a parte, poi, ce l’ha la polpetta di bollito, la migliore in assoluto assaggiata negli ultimi anni a Roma. Tanto sapore, ma una storia breve, legata a quella linea di tempo che ha separato la nostra contemporaneità in pre e post Covid. «Eravamo aperti a macchia di leopardo – sorride Valerio – Anzi, in realtà siamo sempre stati qui… Così con Domenico Rezza, il nostro uomo alla griglia, abbiamo cominciato a sperimentare un po’, a divertirci… Avevamo a disposizione tutte le copertine di quei lombi strepitosi, così abbiamo cominciato a farci il bollito che aveva un gusto fantastico. Del resto, non è da tutti avere a disposizione quelle carni! Poi abbiamo pensato di condire la carne con scorza di limone grattugiata e un po’ dio uovo per far tenere il tutto. Abbiamo studiato molto sulla panatura: ne abbiamo messa a punto una in due granulometrie, più fine e più grezza. Pensa, me la faccio fare da mia madre col Bimbi, è perfetta. E solo col Bimbi riesce a farla così! – ride ancora Valerio… Si vede che si diverte nella sua osteria – Insomma, in quei mesi di caos, facevamo un lombo a settimana e 30 chili di bollito. La polpetta è esplosa… Venivano ragazzi e colleghi a mangiarla, ai tavoli quando si poteva o per portarsela via quando c’era solo asporto. Il pane lo prendiamo al forno Renella, insegna trasteverina: lo faccio asciugare e poi lo faccio frullare da mia madre».
Non è ancora finita, però… perché qui si beve anche molto bene. Ci sono etichette “convenzionali”, frutto di anni di lavoro basico, ma ci sono ormai anche una buona metà di vini naturali ben scelti. «Del resto, anche io bevo quelli che chiamiamo naturali, mi piacciono. E la carta gira parecchio, perché a volte finiscono e ci vuole un po’ per riaverli, così ne prendo altri…». Valerio sa bene di essere una sorta di oasi nel deserto. O nel caos. «Qui è una guerra… ci sono quelli che aprono senza uno straccio di autorizzazione… Guarda quello, sono appena arrivati i poliziotti a chiudere – e indica una serranda abbassata poco distante – Questo qui, poi, non ha cucina… ora si è adeguato, ma fino a poco fa sfornava piatti e piatti e ogni tanto lo chiedevano… Poi, accanto fanno la pasta a 8 euro, io la vendo a 13. Insomma, anche se sinceramente si mangia bene pure a Taverna Trilussa e da Checco Er Carrettiere… qui è un po’ una bolgia. ». Sì, lo è. Eppure, c’è chi si ferma davanti all’uomo morto che sostiene diversi pata negra 100 per cento de bellota appesi… Un bicchiere di vino per due, con un piatto di pata negra e pan tomate alla maniera di Valerio è un aperitivo di gran lusso a 30 euro. E ne vale la pena. Alla fine è un modo più che dignitoso di pagare il biglietto per un rione unico al mondo e per tenerne nel cuore un bel ricordo. Alla faccia dell’overtourism. La Città Eterna è anche questo.
Il Ciak – Roma – vicolo del Cinque, 21 – 06 589 4774 – @ristoranteilciak
© Gambero Rosso SPA 2025
P.lva 06051141007 Codice SDI: RWB54P8 Gambero Rosso registrazione n. 94/2021 Tribunale di Roma
Modifica impostazioni cookie
Privacy: Responsabile della Protezione dei dati personali – Gambero Rosso S.p.A. – via Ottavio Gasparri 13/17 – 00152, Roma, email: [email protected]
Resta aggiornato sulle novità del mondo dell’enogastronomia! Iscriviti alle newsletter di Gambero Rosso.
© Gambero Rosso SPA – Tutti i diritti riservati.
Made with love by Programmatic Advertising Ltd
Made with love by Programmatic Advertising Ltd
© Gambero Rosso SPA – Tutti i diritti riservati
La più autorevole guida del settore dell’enologia italiana giunge quest’anno alla sua 37sima edizione. Vini d’Italia è il risultato del lavoro di uno straordinario gruppo di degustatori, oltre sessanta, che hanno percorso il Paese in lungo e in largo per selezionare solo i migliori: oltre 25.000 vini recensiti prodotti da 2647 cantine. Indirizzi e contatti, ma anche dimensioni aziendali (ettari vitati e bottiglie prodotte), tipo di viticoltura (convenzionale, biologica, e biodinamica o naturale), informazioni per visitare e acquistare direttamente in azienda, sono solo alcune delle indicazioni che s’intrecciano con le storie dei territori, dei vini, degli stili e dei vignaioli. Ogni etichetta è corredata dall’indicazione del prezzo medio in enoteca, delle fasce di prezzo, e da un giudizio qualitativo che si basa sull’ormai famoso sistema iconografico del Gambero Rosso: da uno fino agli ambiti Tre Bicchieri, simbolo di eccellenza della produzione enologica. che quest’anno sono 498.
No results available
ResetNo results available
Reset