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"I gusti strani vanno a ruba” Fragola con kimchi, assenzio, fieno: il pubblico curioso di Ciacco ha fame di esperimenti

Intervista a Stefano Guizzetti, il chimico gelatiere che riscrive il gusto partendo dalle famiglie botaniche

  • 20 Giugno, 2025

Mentre impazzano le polemiche sui prezzi dei gelati artigianali, è bene fermarsi un attimo e chiedersi cosa si celi davvero dietro a una coppetta o a un cono diverso dal solito. Non si tratta solo di gusti originali o ingredienti ricercati: un gelato come quello di Ciacco (Tre Coni nella nostra guida Gelaterie d’Italia) è il risultato di un lavoro di ricerca scientifica, studio delle materie prime, recupero degli scarti alimentari e una continua sperimentazione gastronomica che porta il gelato fuori dai confini del dessert.

Non una semplice gelateria

Gelatiere atipico, classe 1982, Stefano Guizzetti nasce a Bergamo ma sceglie Parma come città d’elezione. Proprio all’Università degli Studi di Parma, durante la laurea in Scienze Alimentari, resta incuriosito dalla materia del gelato. Nel 2013 apre a Parma la prima gelateria e l’anno successivo la seconda a Milano.

Ciacco è un laboratorio gastronomico dove nascono idee innovative, sapori inconsueti e abbinamenti a una prima lettura improbabili, perlomeno fin quando non si passa all’assaggio, spesso entusiasmante. Centrale è la sua attenzione per il recupero che predilige materie prime da varietà antiche, vede l’impiego di bucce e foglie, recuperando ricette della memoria locale. La sostenibilità e preservare la biodiversità sono centrali in ogni fase del processo: dalla selezione degli ingredienti alla collaborazione con agricoltori e allevatori, fino alla scelta di packaging compostabili. Ad oggi, Guizzetti porta avanti un approccio sperimentale per il menu della sua nuova linea Gelato & famiglie botaniche.

È un gelatiere, ma prima di tutto uno scienziato e un ricercatore. Cosa l’ha portato a trasformare la sua curiosità scientifica in un progetto come Ciacco?

Mi affascinava molto il gelato come alimento dal punto di vista chimico: è estremamente complesso, ma spesso viene banalizzato a causa della scarsa professionalità che, purtroppo, viene attribuita a chi svolge questo mestiere. Mi sono appassionato sempre di più, al punto da decidere di approfondire ciò che avevo studiato all’università. Il mio approccio era inizialmente accademico: non avrei dovuto diventare un artigiano né produrre gelato, ma l’idea mi entusiasmava e mi piaceva portare avanti questo progetto. Così è nato Ciacco.

Nel suo lavoro convivono sapori spesso agli antipodi: dolcezza, sapidità, acidità, amaro, umami. Come riesce a trovare l’equilibrio?

La combinazione degli elementi avviene in modi molto diversi: nasce da idee, prove, dal desiderio di abbinare ingredienti che mi piacciono, da assaggi fatti in cucina o nei ristoranti, e dalla volontà di replicare nel gelato alcune sensazioni legate al bagaglio esperienziale della memoria gustativa e olfattiva. Le strade che portano a un abbinamento sono molteplici. Non esiste un procedimento unico o preferenziale.

Quanto conta la biodiversità e il recupero nel suo laboratorio?

Conta sempre di più. All’inizio siamo partiti con l’idea di recuperare alcuni prodotti, poi abbiamo seguito questa direzione con sempre maggiore consapevolezza, arrivando anche a sperimentare l’utilizzo di elementi che non sono tradizionalmente considerati ingredienti, come gli scarti. È il caso del gelato Albedo, fatto con scorza di limone e albedo, cioè la parte interna e bianca della scorza, escludendo il succo che viene usato per il sorbetto classico. Recuperare ciò che normalmente verrebbe scartato è parte del nostro approccio. Da qui sono nati progetti, anche in collaborazione con l’Università degli Studi di Parma, che coniugano le nostre diverse competenze e provenienze.

Come è nata l’idea di costruire un menu basato sulle famiglie botaniche?

L’idea è nata casualmente, come spesso accade. L’anno scorso avevamo realizzato un gelato con mango, anacardo e sommacco, che mi era piaciuto molto. Approfondendo, ho scoperto che questi tre ingredienti, pur sembrando distanti, appartenevano tutti alla stessa famiglia botanica: le Anacardiaceae. Così ho iniziato a investigare per capire a quale famiglia appartenessero molti degli ingredienti che utilizziamo abitualmente in gelateria. Abbiamo costruito un percorso mentale, chiaro e preciso, che ci ha permesso di individuare le famiglie botaniche e di dimostrare che ingredienti apparentemente diversi, ma legati da una comune appartenenza botanica, possono stare molto bene insieme. Ne sono nati abbinamenti davvero interessanti.

Qualche esempio?

Un esempio di accostamento concettualmente vicino è quello della famiglia delle Rosacee, con fragola, lampone, rosa e geranio. Altri abbinamenti sono molto più audaci, con ingredienti lontanissimi tra loro, come nella famiglia delle Malvaceae: karcadé, noce di cola, cacao e malva. Oppure un gelato con assenzio, carciofo, camomilla e dragoncello. Attualmente abbiamo identificato diciotto famiglie e ne proponiamo due a rotazione ogni settimana.

Quale tra queste famiglie botaniche ti ha più sorpreso o sfidato nella creazione di un gusto?

La famiglia più complessa e ricca di sfumature è quella delle Fabaceae, con ingredienti come arachide, fieno greco, cece, liquirizia, erba medica, fava e tonka. Penso sia il gusto più particolare e inatteso, sia da raccontare che da assaggiare.

In che modo collabori con agricoltori, erboristi, raccoglitori o altri artigiani nella tua ricerca?

Conosco personalmente ognuno dei nostri fornitori. È una cosa che mi rende orgoglioso e che apprezzo molto: il rapporto diretto con chi produce ci permette di differenziarci, di essere più creativi e originali.

Come risponde il pubblico a gusti non convenzionali come il Red Hot Kimchi Pepper o l’Ananas centenario?

I gusti non convenzionali rappresentano circa il 20% delle vendite totali di gelato. In base all’offerta che proponi, selezioni una certa clientela e, allo stesso tempo, la clientela ti seleziona in base a ciò che si aspetta di trovare. Questo processo reciproco di scelta ha portato nel tempo a costruire un pubblico curioso.

Il gusto più venduto?

Ovviamente, il pistacchio. Tuttavia, anche i gusti più “strani”, come la fragola con kimchi, l’ananas centenario, il fieno, la corteccia, le foglie o le famiglie botaniche vanno letteralmente a ruba. Mi piace che ci sia questa curiosità da parte dei clienti. Inoltre, la possibilità di assaggiare prima di scegliere consente di incuriosirsi e sperimentare senza timori.

Esiste, secondo te, l’avanguardia in gelateria?

Assolutamente sì. Esiste, ed è un momento di grande fermento per il gelato. Il problema è che coinvolge ancora un numero ristretto di realtà. Su trentacinquemila gelaterie in Italia, quelle davvero interessate a sperimentare sono pochissime: è ancora una nicchia. Mi auguro che il settore cresca, seguendo l’esempio di ciò che è accaduto con la pizza, il caffè e la birra artigianale.

Guardando al futuro: dove pensi possa spingersi il gelato?

Dovremo confrontarci sempre di più con la necessità di ridurre il contenuto di zuccheri e modulare quest’aspetto del gelato che è sempre di più messo in discussione. Il gelato, per ora, è ancora percepito come un dessert, ma si sta affermando sempre più anche come alimento. Bisognerà trovare un punto di equilibrio.

Ciacco cosa sogna per i prossimi anni?

Spero di non perdere mai lo stimolo a essere creativo e a provare cose nuove: è ciò che ci tiene vivi e attivi.
Spero che Ciacco possa continuare a crescere e proporre sempre più cose, non solo gelato, come colazioni, lievitati, pizza… staremo a vedere.

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