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La ricetta

Un piatto di terra è diventato il simbolo di un'isola: storia del coniglio simbolo di Ischia

Simbolo della cucina rurale e capace di resistere ai cambiamenti turistici e culturali, il coniglio all’ischitana è il piatto tradizionale dell’isola, nato dall’allevamento dei conigli da fossa

  • 25 Maggio, 2025

Quando si arriva a Ischia, la prima immagine che si impone è quella del mare. Il blu profondo del Tirreno, le insenature di sabbia e scogli, i pescherecci nei porticcioli, tutto racconta una cucina che ci si aspetta essere marinara. Ma è proprio qui che l’isola sorprende: il piatto più profondamente identitario non viene dal mare, ma dalla terra. È il coniglio all’ischitana. Ischia è la più grande tra le isole del Golfo di Napoli, una massa vulcanica emersa, la cui vetta più alta, il Monte Epomeo, svetta a oltre 700 metri sul livello del mare. Il suo entroterra ha da sempre rappresentato un terreno fertile per lo sviluppo di una cultura agricola e pastorale piuttosto che marinara. Oggi, nonostante la spinta turistica che ha trasformato molti campi in resort e residence, il cuore rurale conserva un profondo legame con la terra e con pratiche che affondano le radici in secoli di storia.

Il coniglio da fossa

Il coniglio all’ischitana ha origini antichissime. Secondo alcuni storici, Ischia era nota già nell’antichità come l’isola dei conigli. I Siracusani, nel 470 a.C., ne fecero una base strategica e un luogo di caccia. All’epoca, la carne di coniglio si cucinava con erbe e agrumi, senza pomodoro, che arriverà solo secoli dopo, con la scoperta dell’America. Fu proprio l’introduzione del pomodoro a segnare l’evoluzione della ricetta, che da rustico piatto bianco si trasformò in un caposaldo della cucina mediterranea come oggi lo conosciamo. Alle pendici dell’Epomeo, ancora oggi, si possono scorgere grandi cavità nel terreno, profonde fino a quattro metri: sono le fosse dove venivano allevati i conigli in modo semi-selvatico. Le fosse venivano inizialmente scavate per ottenere terra buona da portare in vigna, e successivamente adattate a ricovero per i conigli. Da queste buche, rivestite di tufo verde locale, si diramano tunnel scavati dagli stessi animali, che vi vivono in libertà, riproducendo un habitat che ricorda quello naturale.

Oggi, purtroppo, le fosse attive si contano sulle dita di una mano. Proprio per tutelare questa tradizione a rischio estinzione, Slow Food ha istituito il Presidio del Coniglio da fossa di Ischia. Gli allevatori che si occupano del coniglio sono riuniti nell’associazione Green Ground-Il terreno verde, con sede presso lo storico ristorante Il Focolare a Barano.

La ricetta

Il coniglio viene sezionato in dieci parti (otto pezzi più testa e coda); secondo la tradizione, a tavola veniva distribuito seguendo una precisa gerarchia: le cosce posteriori, più carnose e succulente, erano destinate a chi sosteneva la famiglia; le cosce anteriori, più tenere, venivano servite ai bambini; la testa e il torace, più magri, erano riservati alle donne, infine, l’intestino, considerato il pezzo più prelibato, veniva offerto agli ospiti.

Si prepara un soffritto generoso con olio extravergine d’oliva e spicchi d’aglio schiacciati, a cui si può aggiungere un peperoncino per dare carattere. Il coniglio si fa rosolare fino a ottenere una crosticina dorata, poi si sfuma con vino bianco secco. A questo punto si aggiungono i pomodorini freschi e si prosegue la cottura lentamente, in un tegame di coccio, il tiano, che trattiene l’umidità e concentra i sapori. Non mancano le erbe aromatiche: basilico, prezzemolo, timo, maggiorana, a seconda della stagione e delle abitudini familiari. Il risultato è un piatto succulento, dal sugo denso e profumato, perfetto da raccogliere con il pane o da usare come condimento per un piatto di pasta. È proprio così che nasce una delle varianti più amate: i bucatini al sugo di coniglio proposti dal Ristorante Bracconiere, che si trova sul versante meridionale del Monte Epomeo.

Questa molteplicità di approcci racconta quanto il coniglio all’ischitana sia ancora oggi vivo nella cultura gastronomica dell’isola. Non è un reperto da museo, ma una ricetta che continua ad evolversi, restando fedele alle sue radici.

Foto copertina Facebook, Ristorante Bracconiere 

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