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Ode alla frutta di stagione: nespole, fichi, cachi e altri frutti da aspettare

In un mondo in cui la frutta sembra essere disponibile tutto l’anno ci sono ancora frutti che compaiono solo per poche settimane e poi spariscono senza lasciare alternative

  • 05 Giugno, 2025

Ci sono frutti che non si fanno trovare sempre. Arrivano quando vogliono loro, restano poco e poi spariscono. Come ospiti gentili, quelli che non chiedono nulla ma lasciano qualcosa. Le nespole, a esempio. Le trovi solo a fine maggio, e già a giugno sono un ricordo. Le prime sono ancora un po’ durette, ma bastano pochi giorni e quando le vedi tutte ammaccate di marrone sono dolci e acide insieme. Bisogna coglierle giuste, altrimenti non vale la pena.
I fichi che compaiono in agosto, quando le giornate sono così calde che si fanno pesanti e ci si muove più lentamente. I cachi da aspettare per fine ottobre: colorano gli alberi spogli come palline di Natale e maturano a vista d’occhio, uno dopo l’altro, finché diventano troppo molli e li mangiano gli uccelli. I gelsi da trovare in qualche giardino trascurato: quando capita, raccolgo quelli caduti e li mangio lì, con le mani che si tingono di viola. E poi c’è l’uva fragola, dolce, scura, con quel sapore un po’ selvatico che sa di infanzia e di cose non standardizzate.

Di questi frutti mi piace proprio il fatto che non si possano avere sempre. Nessuna grande distribuzione ha ancora trovato il modo di renderli perenni, e va bene così. Non sono come quelle fragole che sembrano fatte in serie, presenti dodici mesi l’anno e senza più alcun sapore, o come i frutti di bosco o le banane e gli avocado… e il mondo che si è adattato a questa frutta sempre uguale a sé stessa. I frutti che aspetto, invece, vanno e vengono. Ci sono stagioni in cui li desidero, e stagioni in cui mi mancano. Il loro apparire improvviso, puntuale ogni anno, mi fa sentire che il tempo passa anche fuori da me, che qualcosa va avanti con una logica più affidabile di quella del calendario sul telefono.

Un giorno mi piacerebbe piantare un frutteto. Anche piccolo, disordinato. Metterci dentro quelle varietà di cui non ricordo mai il nome, ma che ho assaggiato una volta sola e non ho più dimenticato. Come scriveva Pia Pera: “Il campo dove impianterò il mio frutteto è ancora vuoto ma la testa mi risuona già dei nomi degli alberi da frutto ordinati: lardaia, giugnolina, volpina, madernassa… Frutta che è raro trovare nei negozi, a maggior ragione viene voglia di averla nel campo.” Chissà se succederà.

Intanto, ogni anno, aspetto il primo frutto di stagione come si aspetta una lettera scritta a mano. E quando arriva, lo mangio piano.

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