Il 20 maggio come ogni anno si è celebrata la Giornata Mondiale delle Api, la cui preziosa opera è sempre più minata da condizioni ambientali avverse e interventi umani scriteriati. Un argine è ed è sempre stato quello dell’apicoltura, che custodisce e preserva questo straordinario – e fondamentale – patrimonio di biodiversità. Mestiere non facile e sempre meno battuto però quello dell’apicoltore, per cui sia il ricambio generazionale che le nuove attività intraprese sono contributo fondamentale al mantenimento dell’equilibrio naturale. Ecco la storia di Amedeo Galliano, esperto di miele e anche di vino.
Dalla A di ape sui cartelli della prima elementare si impara a conoscere questi insetti solo come produttori di miele: le api in realtà fanno molto di più. Il grosso è per le loro riserve strategiche e solo una piccola parte, meno del 10%, viene prelevata dall’apicoltore. Ed è proprio per garantire la vita dell’alveare che le preziose operaie sondano ogni fiore divenendo fondamentali per il processo di impollinazione. «Il lavoro dell’apicoltore può sembrare semplice a un occhio inesperto ma nasconde molte attività di cui pochi sono a conoscenza. Per mantenere le api in salute servono impegno costante e presenza negli apiari; non esistono sabati o domeniche. Bisogna sempre controllare che abbiano cibo sufficiente in ogni periodo dell’anno, non solo in inverno, quando mancano i fiori» racconta Amedeo Galleano, 38 anni, originario di Savigliano ma trasferitosi per amore della sua compagna qui in quella larga fetta di colline rurali fra Tanaro e Po appena a valle del Pianalto astigiano. «Anche il fatto che la zona sia estremamente verde, tranquilla e immersa nella natura ha influito sulla mia scelta. Starne a contatto è una cosa che amo da sempre e che è diventata fondamentale per me, come respirare. Senza non potrei vivere».
Aggiunge Amedeo «Spesso si pensa che l’apicoltore privi le api del loro sostentamento, ma in realtà se ne raccolgono circa 30 chili per ogni famiglia, a fronte di una produzione annuale di circa 500. La parte che prendiamo è minima, e gli insetti riescono a vivere tranquillamente con le loro scorte. Anzi, se non ci fossero gli apicoltori, molte non sopravviverebbero. Le fioriture sono sempre più irregolari, i pesticidi non sono diminuiti. A causa della scarsità dei raccolti, oggi è essenziale praticare il nomadismo, cioè spostare gli alveari per seguire le fioriture. In passato esistevano apicoltori stanziali, ma oggi quasi tutti hanno adottato il nomadismo».
Figlio d’arte, Galleano ha deciso di continuare l’attività paterna dal quale ha ereditato sia la passione sia la consolidata arte. Ma cosa significa fare l’apicoltore? Significa proteggere la famiglia da fattori imprevisti, come predatori (il topo di campagna, le volpi, i ghiri, le puzzole, la varroa, un piccolo parassita che ne succhia la linfa e può portarle alla morte, la vespa velutina o il calabrone asiatico) e malattie; significa essere in simbiosi con loro e seguire costantemente l’intero ciclo di vita dell’alveare. Tutto inizia con la regina, l’unica ape fertile, che depone fino a 2mila uova al giorno. Una regina può vivere dai 2 ai 5 anni. Quando diventa vecchia o “sterile”, le operaie scelgono alcune larve e le nutrono con pappa reale fino allo sfarfallamento, trasformandole in nuove regine. Tra queste, solo una sopravvive e prende il comando, spesso uccidendo le rivali appena nate. Le operaie, che vivono circa sei settimane, non “eleggono” una regina, ma la accettano perché è la più forte. E sono loro a mantenere l’alveare attivo, supportando la regina, curando le larve e proteggendo la comunità. I fuchi, i maschi, oltre alla loro funzione principale di fecondare la regina durante il volo nuziale, aiutano invece a termoregolare l’alveare, specialmente per la covata.
Le api raccolgono nettare, polline e resine dall’ambiente circostante e, se questo è inquinato o contaminato da pesticidi, tali sostanze finiscono inevitabilmente nel loro lavoro. Un ambiente sano e privo di sostanze chimiche nocive si riflette direttamente sulla purezza e qualità del miele, così come sugli altri prodotti dell’alveare. Per un apicoltore, mantenere le api in un habitat non contaminato non è solo una questione di etica, ma anche di protezione del consumatore. La sinergia tra la salubrità dell’ambiente e quella del prodotto è un aspetto fondamentale. E per Amedeo che significa essere apicoltore? «Significa essere una parte fondamentale della sostenibilità di tutto ciò che ci circonda. In un mondo che sfrutta al massimo ogni risorsa naturale, io ho scelto di restituire qualcosa alla natura. Dedicare il mio tempo, la mia fatica e il mio impegno a curare uno degli insetti più importanti per la vita sulla terra è il mio contributo alla salvaguardia della vita di tutti. Scelgo tecniche, operazioni e trattamenti il meno invasivi possibile per le api e faccio grandi sforzi per parlare per trovare luoghi incontaminati dove ci siano sempre fiori su cui nutrirsi. Inoltre, da inizio agosto, qualsiasi cosa accada, non raccolgo più miele, in modo da lasciar loro le scorte necessarie, mentre di quello reperito lo faccio sempre analizzare in laboratorio per assicurarmi che corrisponda a quello che propongo».
«Da fine marzo a inizio agosto, ed è forse l’operazione più semplice e gratificante. Il processo è facile da spiegare: quando inizia una fioritura si mettono i melari (cassette con telai dove le api immagazzinano il miele extra durante la raccolta) su ogni famiglia di api. Man mano che si riempiono, le api chiudono le cellette con cera, segno che il miele è pronto, e quando sono quasi tutte opercolate, si allontanano delicatamente le operaie, si prelevano e vengono riposti in uno stanzino con un deumidificatore. Infine si toglie la cera protettiva, si inseriscono in una centrifuga e si estrae il miele, passato poi al setaccio per eliminare i residui di cera e fatto maturare in bidoni d’acciaio». In questo momento Amedeo conta circa 120 casette di api in via di ampliamento e le loro postazioni variano in base alle fioriture: Fossano (CN) per tarassaco, alianto e millefiori, Roccaforte Mondovì (CN) per il castagno, Villafranca d’Asti e Rocca d’Arazzo (AT) per millefiori, acacia e tiglio, Penango (AT) per il coriandolo, Alluvioni Piovera (AL) per il girasole.
«L’affinità principale tra miele e vino è che entrambi racchiudono storie, lavoro, rispetto per il territorio, la natura e le persone. Sono molto più di semplici bevande/alimenti. Come i tanti vitigni, le tante varietà di fiori producono tante tipologie di miele. Spesso i sorprendono chi li assaggia le differenze marcate tra aroma e gusto. Per esempio, il miele di tarassaco ha un profumo pungente, simile all’aceto, ma il gusto è dolce e delicato, come la camomilla. Il miele di acacia è dolce e leggero, con note di vaniglia e mandorla. Quello di castagno ha un sapore forte, legnoso, con un retrogusto amaro, perfetto con formaggi stagionati, mentre l’ailanto è vellutato, con un aroma floreale che ricorda l’uva Moscato o il tè alla pesca, perfetto per dolcificare dessert leggeri». Conoscenza e degustazione sono in entrambi i casi aspetti fondamentali per un consumo consapevole e per capire gli abbinamenti più efficaci con bevande o cibo. E alla Collina del miele Amedeo guida illuminanti degustazioni comparate. Ma l’apicoltore/sommelier “nomade” non si ferma mai: «Sto sperimentando la produzione di idromele – bevanda alcolica prodotta dalla fermentazione del miele – col primo lotto disponibile da quest’anno. E sto seguendo corsi per diventare degustatore ufficiale di miele e giudice internazionale di idromele».
La Collina del miele – Villafranca d’Asti (AT) – s.da Bricco Taragno, 77 – 339 7159203 – lacollinadelmiele.com
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