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Perché si dice “fare la scarpetta” spiegato da Alessandro Barbero

L'origine dell'espressione non sarebbe né laziale né siciliana. Ecco la versione di uno dei professori più conosciuti d'Italia

  • 06 Maggio, 2025

Pratica culinaria diffusa in tutta Italia, fare la scarpetta è uno dei gesti più goduriosi del pasto: s’intinge il pane nel sugo per finire il piatto con un ultimo boccone. Goduriosa, certo, ma a volte poco gradita dal galateo nei pranzi formali in quanto considerata poco elegante. Eppure, come riporta l’Accademia della Crusca, era un gesto approvato dal maestro Gualtiero Marchesi che lo sdoganò lasciando libertà ai commensali di finire il suo piatto, con un pezzo di pane tenuto fra le dita o infilzata in una forchetta.

Fare la scarpetta: perché si dice così

Da dove deriva questa locuzione? A dare una spiegazione nascosta tra le pieghe dei dizionari storici è il prof. Alessandro Barbero in una puntata del programma di La7 Barbero risponde:  «Si dice che esistesse un modo equivalente in toscano che era “fare un ritocchino” ma è uno di quei casi in cui un modo di dire toscano è stata cancellato da un modo di dire romanesco, e non solo romanesco».

Ed è qui, che con grande sorpresa, il professore e storico rivela le origini dell’espressione: «In realtà ci sono anche vocabolari del dialetto abruzzese che già nell’Ottocento registrano questo modo di dire “fare la scarpetta”». Perché gli abruzzesi dicevano “fare scarpetta”? Barbero risponde: «Su questo è difficile essere sicuri, però io ho trovato un’interpretazione che secondo me è poetica ed è molto bella: c’è un dizionario abruzzese che registra questa locuzione per dire fare una passeggiata, il discorso è che il tuo pezzetto di pane fa la passeggiata intorno al piatto. Lo trovo bellissimo». E quindi, niente pane a forma di scarpa – come vuole una certa interpretazione roma – e nemmeno una derivazione dal siciliano ‘scarsetta’ ovvero mancanza e scarsità di cibo. Ma un più romantico giro finale intorno al piatto prima del boccone che pone la parola fine.

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