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Quasi tutto il “wasabi” che mangiamo è finto: ecco perché la vera radice giapponese è rara, costosa e quasi introvabile

Dietro la pasta verde che accompagna il sushi si nasconde spesso un surrogato: il vero wasabi richiede anni di coltivazione, acqua purissima e mani esperte

  • 28 Maggio, 2025

Gli italiani sono tra i consumatori più accaniti di sushi a livello europeo. Complice la grande offerta di ristoranti all you can eat dai prezzi concorrenziali, il pesce crudo in stile giapponese ha conquistato una fetta importante del mercato.
Le grandi catene di sushi sono accusate di offrire un prodotto dalla qualità discutibile e, a parità di prezzo, è sicuramente vero se confrontate a quelle presenti in Giappone. Però tutte e due hanno qualcosa in comune: il wasabi senza (o con poco) wasabi dentro.
La pasta verde pisello che viene servita a fianco del pesce crudo e si trova nei tubetti del supermercato, di wasabi ha solo il nome. La vera radice richiede un metodo di coltivazione estremamente complesso e difficile da replicare, il che si riflette sul valore di mercato, per cui viene sostituita da miscela di rafano, senape e colorante alimentare verde. I due ingredienti assicurano il tipico effetto piccante che sale dal naso fino a farci lacrimare, ma le somiglianze con il vero wasabi finiscono lì.

La storia del wasabi

Le prime coltivazioni di wasabi iniziano intorno alla metà del XVII secolo dopo che alcuni religiosi che avevano visitato il monte Amagi, situato al centro della penisola di Izu (nella costa meridionale a Ovest di Tokyo), riportando alcune radici di questa pianta autoctona. Nel 1744, il wasabi della regione di Izu fu offerto in dono allo shogun Tokugawa Ieshige guadagnando rapidamente la reputazione di erba officinale pregiata.
Durante il periodo Edo, grazie al miglioramento delle reti di trasporto terrestri e marittime, la coltivazione e la cultura del wasabi si diffusero anche nelle regioni del Kansai e del Kant?. Nello stesso periodo, tra la popolazione comune di Edo (l’antica Tokyo) e delle città vicine divenne popolare il nigiri-zushi (l’antenato dell’odierno sushi) e il wasabi fu centrale per lo sviluppo di questa cultura gastronomica.

Un territorio vocato alla coltivazione del wasabi

Il wasabi è estratto dalla radice della Eutrema japonicum (o Wasabia japonica), una pianta della famiglia delle Crucifere, parente stretta della senape e dei ravanelli. La sua coltivazione è però molto più complessa perché richiede terreni coperti costantemente da acqua corrente a una temperatura costante compresa tra i 13 e i 15 gradi. Questa peculiarità, insieme alle altre condizioni climatiche richieste dalla pianta ne limitano enormemente la diffusione.
In Giappone esistono diverse zone vocate, ma la più famosa coincide ancora con la penisola di Izu, dove sono nate le prime coltivazioni, e il motivo risiede nelle particolare condizioni climatiche e idrogeologiche del territorio. Al centro della penisola si trova il monte Amagi, costituito da una catena di picchi di origine vulcanica che superano i 1000 metri. La corrente marina meridionale Kuroshio origina un vento caldo che dà luogo a forti precipitazioni sulla montagna. Grazie alla struttura porosa dei sedimenti vulcanici, l’acqua penetra la roccia riempiendo un bacino acquifero che arriva in superficie nelle zone più pianeggianti sotto forma di sorgenti. L’abbondanza di acqua surgiva, le sue temperature piuttosto basse e la forza moderata della corrente la rende una zona ideale per la coltivazione del wasabi.
Qui si trova l’azienda Takijiri, una delle più antiche del territorio, con un impianto a terrazzamenti vecchio di oltre un secolo che sfrutta una delle sorgenti del fiume Hontani. L’acqua che passa attraverso i campi di wasabi viene sfruttata anche per la coltivazione dei funghi shitake più a valle e, una volta raggiunta la pianura, serve per irrigare le risaie, ricongiungendosi infine al fiume. Qui il wasabi viene coltivato senza l’uso di pesticidi o fertilizzanti, eseguendo tutte le operazioni manualmente a partire dalla piantumazione, fino alla pulitura e preparazione finale.

Le tipologie del wasabi

Esistono innumerevoli varietà di wasabi, ognuna con caratteristiche caratteristiche specifiche. Una delle tipologie più diffuse è il Misho wasabi, una varietà dalla crescita più rapida che si raccoglie dopo circa un anno dalla semina. Il colore di tutto il rizoma e del gambo è verde brillante, con una piccantezza netta e rinfrescante: una varietà perfetta da abbinare ai soba e ad altre preparazioni di cucina quotidiana.
La tipologia più tradizionale e pregiata di wasabi è invece il Mazuma, che richiede almeno 2 anni di crescita prima della raccolta.
Quando viene grattugiato sprigiona un aroma intenso e si percepisce una nota dolce nella piccantezza, che è la sua peculiarità. Grazie al perfetto equilibrio tra dolcezza, consistenza vischiosa e aroma pungente viene considerato la vetta qualitativa del wasabi giapponese, sia per profilo organolettico, che per complessità colturale.

La piccantezza del wasabi

La sensazione piccante tipica del wasabi è dovuta a una sostanza volatile chiamata isotiocianato di allile. Questo composto si forma quando si rompe la struttura cellulare della pianta, ad esempio durante la grattugiatura: in quel momento l’enzima mirosinasi entra in contatto con un precursore naturale chiamato glucosinolato di allile (che contiene glucosio e zolfo) e ne attiva la trasformazione. Si tratta dello stesso meccanismo alla base della piccantezza del rafano e della senape che è stato sviluppato naturalmente dalle piante come sistema di difesa contro erbivori e parassiti.
A differenza della capsaicina contenuta nei peperoncini che è solubile nei grassi, l’isotiocianato è solubile in acqua per cui procura una sensazione irritante più breve e facilmente eliminabile bevendo o mangiando qualcosa.
Il “wasabi” che si trova nei ristoranti economici in stile giapponese o nei supermercati è in realtà un surrogato che sfrutta le proprietà affini del rafano e della senape. Per conferirgli la tipica tonalità verde vengono spesso impiegati coloranti come la clorofilla, la spirulina o altri pigmenti di origine naturale o artificiale.
Purtroppo le difficoltà di coltura del wasabi, gli elevati costi di mercato e le difficoltà di conservazione della radice fresca, non permettono una diffusione ampia di questo prodotto. I ristoranti di sushi di fascia più elevata utilizzano ancora la radice grattugiata al momento, soprattutto in Giappone, mentre nel resto del globo si fa spesso ricorso a pasta con concentrazioni più o meno alte di wasabi.

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