Non ha mai fatto mistero della sua passione per il junk food, il presidente degli Stati Uniti dāAmerica in carica Donald Trump. Utilizzando anzi hamburger e patatine come strumento di propaganda per fare presa su unāampia fascia di popolazione che al fast food si alimenta quotidianamente (populismo alimentare? In Italia cāĆØ chi sembra aver studiato bene le sue mosse, per emularle). Ma dietro la riforma che ripenserĆ il menu delle mense scolastiche americane cāĆØ anche un ragionamento economico che mira a privilegiare lāindustria di settore, in barba ai più comuni principi dellāeducazione alimentare. CāĆØ poi quel desiderio di togliersi un sassolino dalla scarpa ā chĆ© Trump, ĆØ indubbio, ama le provocazioni ā che fa coincidere lāannuncio del provvedimento con il compleanno di Michelle Obama, ex First Lady che fu strenua sostenitrice di una riforma dellāalimentazione scolastica, improntata ā quella sƬ ā al benessere e allāeducazione dei più piccoli. āĆ solo una coincidenzaā, tiene a precisare il ministero sulla curiosa concomitanza di eventi. Quel che resta, al di lĆ delle letture simboliche, ĆØ il nuovo pacchetto di norme enunciato dal ministro Sonny Perdue, che, innanzitutto, punta a restaurare i vecchi menu delle mense scolastiche.
Quelli precedenti alla riforma Obama, per intenderci, che con lāHealthy, Hunger-free Kids Act, varato nel 2010, aveva avviato una politica alimentare volta a limitare il fenomeno dellāobesitĆ (in America il problema riguarda 14 milioni di minori, il 19% del totale) e lāinsorgere, in etĆ precoce, di patologie dovute a cattive abitudini a tavola (1 bambino su 3 ĆØ destinato a sviluppare il diabete). Lāimpegno dellāex First Lady si era concentrato sulla necessitĆ di garantire il diritto al cibo sano anche alle famiglie meno abbienti, offrendo agli studenti lāopportunitĆ di reperire frutta e verdura fresca ogni giorno, prodotti realizzati con farina integrale e latte scremato. In parallelo, anche ai fornitori delle mense scolastiche si imponeva di limitare grassi saturi, sale e calorie dei prodotti venduti alle scuole. Ora il ministro della salute, fedele sostenitore di Trump, fa marcia indietro, dopo aver mostrato, dallāinizio del suo mandato, tutto il suo scetticismo nei confronti di un modello mai digerito.
Ma lāattacco finale ĆØ stato sferrato ā spiega il ministro ā in virtù delle esigenze e delle richieste degli operatori direttamente coinvolti nella gestione delle mense scolastiche, in difficoltĆ a contenere i costi per lāapprovvigionamento di materie prime fresche e di qualitĆ . Poco importa che a rimetterci sarĆ proprio la qualitĆ e la varietĆ dei pasti degli studenti: col nuovo provvedimento, ogni scuola potrĆ decidere autonomamente se e quanta frutta servire a colazione; abbondando invece con carne e derivati. E cambia anche il rapporto tra verdure a foglia, come lāinsalata, e patate. Con il menu introdotto da Michelle Obama, infatti, lāequilibrio tra le parti garantiva il giusto spazio ai contorni a base di verdura fresca; la restaurazione lascia libero arbitrio alle mense, sempre a vantaggio delle casse scolastiche. Chi davvero trae vantaggio dalla riforma, però, sono i grandi produttori di carne e patate, e con loro lāeconomia di quegli Stati che si reggono sullāagricoltura e lāallevamento intensivi e sullāindustria di trasformazione. NovitĆ anche al capitolo dolci, con la possibilitĆ per gli studenti di scegliere liberamente il proprio dessert preferito. Spazio anche agli snack fuori pasto, come agli hamburger, che torneranno, secondo le previsioni dei nutrizionisti, a primeggiare sui menu delle mense.
Il ministro dellāagricoltura, dal canto suo, si rifugia dietro a una dichiarazione politically correct: āIl cambio di passo servirĆ a ridurre gli sprechi. Chi gestisce le mense lamenta che la scarsa elasticitĆ delle regole imposte finora non permette di servire pietanze appetibili per i ragazzi. E questo si traduce in un grande spreco di ciboā. Molte, comāĆØ prevedibile, sono le voci che contestano la decisione. Preoccupate per il futuro di 30 milioni di ragazzi che quotidianamente usufruiscono del servizio della mensa scolastica: 22 milioni tra loro provengono da famiglie non abbienti e lāunica opportunitĆ di consumare cibo fresco e sano dovrebbe garantirla proprio la scuola. Dovrebbe.
a cura di Livia Montagnoli
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