«Governare il limite». È questa la ricetta di Angelo Gaja per il vino in un momento di grande difficoltà per il settore, in cui si beve meno, si produce troppo e si fanno i conti con nuove barriere all’entrata nei mercati chiave (vedi alla voce dazi Usa).
«Sarebbe ottimale una produzione annuale tra i 35 ed i 42 milioni di ettolitri (le prime stime parlando di 45 milioni di ettolitri) – dice in un’intervista al Corriere della Sera il re del Barbaresco – Anche per gli effetti del cambiamento climatico, oltre che del calo dei consumi. Produrre meno, ma meglio. Possiamo farcela», continua Gaja che comunque si dice ottimista per il futuro («Sono un imprenditore. Ho l’obbligo di essere ottimista»).
Se al vertice di Palazzo Chigi dello scorso 4 agosto si è parlato di misure come estirpazione o distillazione di emergenza, il produttore piemontese guarda più all’abbassamento delle rese (azione che quasi tutte le denominazioni stanno adottando) soprattutto per i vini da tavola: «Da 400 a 250 quintali di uva per ettaro – propone – Ridando dignità a questi vini, che non sono il Far west. Secondo: impedire di produrre vini da tavola con uve da tavola». Altro fenomeno che appiattisce la qualità e acuisce il problema della sovrapproduzione.
Sulla possibilità di ricevere soldi pubblici per attivare le misure di emergenza, ci va cauto: «È giusto chiedere aiuti pubblici, ma chi eroga denaro deve fare attenzione, i fondi servano a favorire l’intero settore e non gli individui. Altrimenti c’è chi succhia di più, e altri che restano a secco. E poi non si sa mai dove finiscono i soldi».
Come tutti, anche Gaja guarda da spettatore il tira e molla sui dazi di Trump: «Aspettiamo, la trattativa è in corso. Speriamo in una soglia meno punitiva. Bisogna avere pazienza, fasciarsi la testa prima del tempo non serve», ma spiega perché le tariffe aggiuntive saranno un male per tutti: «Non sono d’accordo con quelli che dicono che chi vende a prezzi più alti è favorito rispetto ad altri: il danno che può arrivare a causa dei dazi di Trump colpirà tutto il comparto. I dazi sono un rischio d’impresa».
Infine, uno sguardo ai nuovi trend, dealcolati compresi: «Ci sarà una fioritura dei senza alcol – è la sua previsione – ma non riusciranno a competere col vino re della tavola. Non sono entusiasta di questa nuova categoria, l’alcol è un elemento prezioso del vino. La tecnologia consente di arricchire i dealcolati, siamo solo all’inizio. Serve però una legge europea che permetta al consumatore di distinguerli nell’etichetta dai vini con gradazione alcolica».
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