Svecchiare l’immagine del vino, renderlo meno serioso togliendogli un po’ di sacralità e dandogli un’anima più laica, andare incontro ai moderni consumatori e ai giovani della Gen Z, realizzare i prodotti che chiede il mercato, semplificare il lavoro delle imprese e, addirittura, superare il concetto di denominazione che, a tratti, appare più una gabbia che un’opportunità. Messaggi coraggiosi, provocatori, quelli arrivati da Milano, mercoledì 11 giugno, durante la presentazione di Envisioning2035 – Wine (r)evolution, un manifesto per il futuro del vino italiano. Parterre di primo piano, quello riunito nel Palazzo della Regione Lombardia: da Alessandro Mutinelli (ceo di Iwb) a Ettore Nicoletto (industry expert), da Priscilla Hennekam (wine influencer) a Robert Joseph (giornalista e wine expert), ed Edoardo Freddi, ceo di Feedl group, che ha curato l’organizzazione, coinvolgendo anche Nomisma Wine Monitor e Federvini.
La necessità di mettere nero su bianco un piano strategico che guarda ai prossimi dieci anni è data dalla volontà di aprire un dialogo coi ministeri di Agricoltura, Esteri, Turismo, Sviluppo eonomico, Ice, enti fieristici e associazioni di categoria, alla luce dei rapidi cambiamenti dei mercati e al rischio che il sistema Italia possa rimanere clamorosamente indietro.
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Alcuni dei numeri fondamentali sono sotto gli occhi di tutti. Da un lato, l’Italia (che conta 30mila imprese, 74mila addetti, per un volume d’affari di 16 miliardi di euro, di cui 8.1 esportati) è leader mondiale per volumi di vino venduti fuori confine (2,1 miliardi di litri contro 1,28 della Francia) ed è seconda a valore (8,1 mld di euro contro 11,67 dei francesi), con una leadership in 46 Paesi esteri (20 anni fa erano appena 9, secondo dati Nomisma Wine Monitor), ma sempre dietro ai 51 dei francesi.
Dall’altro lato, se anche il valore del prezzo medio all’export del vino italiano è cresciuto del 40% in 10 anni, c’è un ampio divario da colmare sui competitor. L’Italia, infatti, con 4,43 euro/litro per i vini fermi in bottiglia, è indietro non solo rispetto alla Francia (7,81 euro/litro) ma anche ad Australia (5,56 euro/litro) e Nuova Zelanda (5,86 euro/litro).
Se si guarda al futuro, le minacce sono concrete: nel mondo, i consumi di vino sono scesi da 236 milioni di ettolitri del 2019 a 214 mln del 2024, con una penalizzazione per i vini rossi. Per l’Italia, è vero che le vendite di vino all’estero sono cresciute nel 2024, spinte dalle bollicine del Prosecco, al contrario di quanto registrato in Francia (condizionata dal calo dello Champagne), ma restano limiti strutturali evidenti. A partire dalla frammentazione della produzione, e della promozione, che rischia di lasciare indietro molte imprese sui mercati globali.
Le analisi di mercato (fonte Nomisma Wine Monitor) dicono che i vini con più crescita nei prossimi tre anni in Italia e Usa saranno quelli sostenibili, di fascia medio-alta, specifici di alcuni territori, con packaging leggero e a bassa gradazione alcolica. Elementi di cui tenere conto nella produzione e nel marketing dei prossimi anni, se si vorrà mantenere la viticoltura in un quadro di tenuta economica. Sulla comunicazione della sostenibilità, in particolare, come ha ricordato Gabriele Castelli (Federvini), manca ancora, per esempio, un logo ufficiale nazionale e una campagna informativa istituzionale per far conoscere i valori del sistema di certificazione sia ai produttori, sia a consumatori e buyer. E non si è ancora sbloccato il tema delle vendite di vino a distanza intra-comunitarie.
Sul fronte marketing, il manifesto guarda alla sfida del salutismo. In un contesto di forte concorrenza con bevande come spirit, cocktail che evolvono, cannabis legalizzata, per il vino si apre il tema del modo in cui viene percepito e consumato, specialmente da una Gen Z, come ha rilevato Ettore Nicoletto, che mostra meno interesse al vino. Ecco perché l’industria, sebbene fondata su pilastri valoriali come territorialità e autenticità deve cogliere i precisi segnali che stanno arrivando: «Il messaggio d’allarme più assordante è che il mantenimento del successo raramente dipende dal rimanere immutati. Il nostro comparto – ha ammonito Nicoletto – deve fare uno scatto ed evolversi intenzionalmente e rapidamente, anche se questo scatto ci porterà a uscire dalla nostra comfort zone. Fino a oggi, noi produttori abbiamo stressato il concetto di distintività. Probabilmente, oggi, questo non basta». Il riferimento è alla necessità, ad esempio, di aprire rapidamente ai vini dealcolati.
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L’Italia dovrà guardare, poi, alla comunicazione, per esempio, semplificando la cosiddetta wine experience, demistificando il vino. «Pensare che basti “educare” il consumatore è ingenuo. Le persone non vogliono imparare i vitigni- ha rimarcato Robert Joseph – ma si interessano a cucina, viaggi, lifestyle. Occorre inserire il vino in questi contesti, senza imporre nozioni tecniche».
E dal manifesto arrivano anche idee sul packaging: «Siamo ossessionati dal peso delle bottiglie. Ma dovremmo guardare con più apertura a formati alternativi: 50 cl, bag-in-box, kegs. Offrono vantaggi ambientali e facilitano la degustazione». Ci sono elementi attuali che vanno ripensati: «La rilevanza – ha rimarcato Priscilla Hennekam – non si eredita: si costruisce ogni giorno. Non basta puntare su qualità e territorio. Bisogna chiedersi: cosa sentono le persone quando pensano a noi? È da lì che nasce il valore. Non è il momento di piccoli ritocchi, ma di un salto culturale. Perché il vino ha ancora molto da dire, se impariamo a raccontarlo diversamente».
Alessandro Mutinelli – Italian wine brands
Non sono mancate, dal palco milanese, provocazioni come quella di Alessandro Mutinelli, alla guida di Iwb, uno dei maggiori gruppi industriali italiani. Il manager ha lasciato aperte le speranze per una ripresa, sottolineando come il calo del consumo di vino a livello globale appaia influenzato in gran parte dal calo, ciclico, del potere d’acquisto delle famiglie. Per l’Italia, l’antidoto per affrontare questa congiuntura difficile e guardare al futuro passa per la diversificazione. Ma occorre fare dei cambiamenti: «Il concetto di “piccolo è bello” ha funzionato, ma a volte è anche un limite, considerando le ben 500 denominazioni italiane. Queste possono certamente aiutare lo sviluppo delle imprese, da un lato, ma da un altro lato comprimono i margini di prezzo e creano confusione sul mercato. Ecco che una soluzione potrebbe essere uscire dalla logica delle troppe Dop, che possono essere delle gabbie – e lo dico sapendo i rischi che corro, ha ammesso Mutinelli – valorizzando maggiormente i singoli brand, che dovrebbero essere più importanti».
Edoardo Freddi – Freedl group
«Non basta produrre ottimo vino – ha detto nel suo intervento Edoardo Freddi – ma bisogna saperlo raccontare, vendere e adattare a un mondo che cambia», sottolineando come servano visione strategica, collaborazione tra imprese e investimenti sul capitale umano. Il manifesto Envisioning2035 individua cinque ambiti prioritari di intervento: innovazione di prodotto, apertura a nuovi mercati, evoluzione dei canali distributivi, aggregazione tra imprese e valorizzazione del capitale umano.
Su questi temi, secondo Freddi, c’è la necessità di «aprire uno spazio di dialogo vero. Il vino italiano ha bisogno di un momento strutturato di riflessione collettiva. Come imprenditori, sentiamo la responsabilità di facilitare il confronto e stimolare una visione condivisa – ha concluso l’imprenditore – che guardi oltre le singole aziende e punti al rafforzamento competitivo del nostro sistema Paese».
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