Luca Raccaro guida il consorzio del Collio da poco più di due mesi, dopo la fine del mandato del predecessore David Buzzinelli. Con lui abbiamo parlato dei programmi del consorzio, compresa la soluzione della diatriba sul Collio Bianco “da uve autoctone” provocata dall’iniziativa di una decina di produttori in dissenso con le politiche consortili. «Alla scadenza del mandato David Buzzinelli non si è ricandidato. Io ero già vicepresidente e ho dato la mia disponibilità. Adesso il lavoro prosegue, con una continuità di linea tra me e David», esordisce Raccaro, che è il più giovane presidente nei 60 anni di vita del consorzio.
Qual è lo stato di salute della denominazione?
Stiamo bene. Produciamo 7 milioni di bottiglie. Nel 2024 abbiamo subito una riduzione della produzione del 30% a causa del clima e delle annate complicate, ma pensiamo di recuperare con la prossima vendemmia. Le nostre maggiori soddisfazioni arrivano dall’Italia, con il 70% delle vendite, soprattutto nelle regioni del Nord, a Roma e nel Lazio, in Campania e in Sicilia. La quota di vendite all’estero – soprattutto negli Usa, in Germania e in Svizzera – è pari al 30%.
La vicenda dei dazi vi ha creato problemi?
No, i dazi non hanno influito. E per ora sono congelati. Ci aspettiamo che vengano rivalutati al ribasso. Anche i nostri partner americani sono fiduciosi. Il nostro territorio offre qualità quindi non siamo preoccupati: gli importatori sono tranquilli.
Quali sono gli obiettivi del suo mandato?
Porteremo a termine i progetti già avviati dal gruppo dirigente precedente.
A partire dall’inserimento della tipologia del vino macerato…
Sì, vogliamo chiudere il disciplinare dei macerati. È una tecnica che nel Collio ha avuto successo e con un rilancio in tutto il mondo. C’è insieme storicità e tipicità. La scelta serve per chiarire: quando il consumatore chiede un vino del Collio e può trovare un bianco o un macerato, senza una definizione precisa, può entrare in confusione.
Quali saranno le caratteristiche formali del vino macerato?
Le scelte non saranno restrittive: vorremmo indicare un minimo di giorni di macerazione e identificare dei dati analitici, ma saremo aperti alle varie versioni. Cercheremo la soluzione con l’aiuto di professionisti. Quanto al nome della tipologia vorremmo una scritta semplice e immediatamente riconoscibile. Per esempio, “macerato” o “da uve macerate”.
Poi c’è da risolvere la querelle del Collio Bianco, aperta dai “ribelli” che hanno cercato di rilanciare la versione con sole uve autoctone…
Lavoreremo sul Collio Bianco per dargli identità con l’obiettivo della massima qualità. I tavoli tecnici sono già a buon punto.
Abbiamo già il nome?
Non ancora, vedremo. La normativa del ministero offre la possibilità di menzione identificativa capace di trasmettere un’immagine di qualità. Vogliamo esaltare al massimo il livello qualitativo.
Il Collio Bianco sarà dunque il frutto di un blend di friulano, ribolla gialla e malvasia, ovvero le uve autoctone?
Si potrà continuare a fare il Collio Bianco con tutti i vitigni ammessi dalla denominazione: in quel caso il vino diventa il frutto di un blend aziendale. Invece, il Collio Bianco ‘menzione’, realizzato con le uve autoctone, diventerà un marchio rappresentativo del territorio.
Qualcuno – come per esempio Robert Princic, titolare di Gradis’ciutta, intervistato dal Gambero Rosso – aveva proposta in passato di usare l’espressione “Gran Selezione”…
La “Gran Selezione” è certamente una ipotesi interessante, ma per utilizzarla bisognerebbe fare la docg, quindi mi pare complicata come soluzione. In ogni caso, sarà il territorio a decidere: ne abbiamo parlato tanto in questi mesi, ora vogliamo che sia una espressione del territorio, capace di trasmettere l’identità territoriale e un’immagine positiva. Come consorzio faremo delle proposte ma sempre con l’obiettivo di prendere decisioni condivise.
Il disciplinare avrà paletti molto stretti?
Fisseremo le percentuali minime, ma non quelle massime. In questo modo si evitano gli eccessi legalistici.
Potrebbe passare la dizione “da uve autoctone”, utilizzata dal gruppo di produttori che ha polemizzato con il consorzio?
No, la dizione “da uve autoctone” non sembra la soluzione.
Quali sono adesso i rapporti con questi produttori? Come valuta la loro iniziativa?
L’iniziativa del Collio Bianco “da uve autoctone” è stato un motivo di confronto e ha dato una mano allo sviluppo del progetto. Nel cda del consorzio abbiamo due consiglieri che lo producono: sono consapevoli del percorso avviato dal consorzio e anche loro possono proporre il loro punto di vista, contribuendo in maniera attiva. Noi siamo riusciti a riunificare i protagonisti del territorio, ma le forme di collaborazione c’erano anche prima.
Niente più contrasti dunque?
Adesso c’è la consapevolezza che quei battibecchi erano più grandi della realtà dei fatti. Il consorzio non ha mai chiuso le porte a nessuno. Abbiamo sempre cercato di coinvolgere i protagonisti di questa iniziativa. C’è la volontà di unire il territorio al di là di qualche malumore: tutti dobbiamo essere coinvolti. E c’è disponibilità anche da parte loro.
L’80% della produzione del Collio è fatta da vini bianchi. Oggi sono una carta vincente ma in passato avete vissuto un periodo di crisi, anche a causa della concorrenza dell’Alto Adige…
Negli anni passati avevamo perso terreno in effetti. Le attività intraprese in questi ultimi anni dal consorzio hanno proprio il fine di superare il gap. Ma siamo fiduciosi. I nostri sono vini unici: non c’è terroir così definito come il nostro. Inoltre possiamo vantare una elevatissima qualità media tra i nostri produttori: raramente i loro vini non sono all’altezza delle aspettative.
Questo rilancio troverà un momento clou nell’evento “Collio Evolution”…
Sì, abbiamo immaginato un nuovo evento in tre giornate, dal 25 al 27 ottobre 2025. Quest’anno il protagonista sarà il friulano: è il vitigno che ci identifica di più e tutte le cantine lo producono. Analizzeremo l’annata corrente e rifletteremo sul passato, sul presente e sul futuro del friulano.
Sarà di fatto quell’anteprima che ancora mancava?
Sì, di fatto sarà un’anteprima. Una presentazione dei nostri prodotti realizzata direttamente da noi, capace di offrire una visuale approfondita del Collio.
I vostri vini sono spesso ricchi e strutturati. Oggi però si tende ad alleggerire. Come vede la new wave dei prodotti no alcol e low alcol?
Da anni si parla di alleggerire l’alcol. C’è la necessità di fronteggiare il cambiamento climatico puntando a vini leggermente meno alcolici con un livello gustativo adeguato e una soglia psicologica più bassa. Ma non entreremo nel gioco dei dealcolati. Nessuno di noi per il momento ci pensa. Per adesso non ne abbiamo bisogno: vogliamo valorizzare la nostra doc.
Anche limitando la portata alcolica dei vini?
Ci stiamo lavorando. Abbiamo fatto dei seminari di confronto che evidenziano soluzioni per mitigare la quantità di alcol. È chiaro che fare vini di struttura comporta un tenore alcolico un po’ più alto. È anche la fortuna del nostro territorio. Ma per evitare un blocco psicologico nei confronti del prodotto lavoriamo per evitare prodotti da 15 gradi, per arrivare almeno ai 13,5.
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