La vicenda che riguarda il brand di bollicine francesi legato alla società Nero Lifestyle, ha avuto inizio con l’opposizione d’Oltralpe del Comité interprofessionnel du vin de Champagne e dell’Inao (Institut national de l’origine et de la qualité), che contestavano la registrazione avanzando due argomentazioni principali: l’uso avrebbe sfruttato indebitamente la notorietà della Dop, tutelata dal 1973, e il nome “Nero Champagne” avrebbe potuto indurre in errore i consumatori, evocando un colore o un vitigno inesistente per uno Champagne, che può essere solo bianco o rosé.
Inizialmente, l’Euipo, l’Ufficio per la Proprietà Intellettuale dell’Unione Europea, aveva respinto l’opposizione solo parzialmente, ma poi il caso è approdato davanti al Tribunale Ue, che ha ribaltato la decisione: il marchio è stato respinto in toto, compresi i vini conformi al disciplinare della Dop. Nel dettaglio, il Tribunale ha chiarito che — pur non impedendo in linea di principio l’uso di una Dop all’interno di un marchio — ci sono limiti stringenti: se include la Dop e rischia di trarre vantaggio dalla sua notorietà o di trasmettere un’informazione fuorviante, la registrazione deve essere negata.
Il tribunale ha inoltre sottolineato che nonostante esista una presunzione favorevole per marchi che includono una Dop purché il prodotto rispetti il disciplinare, tale presunzione può essere ribaltata da prove contrarie. In questo caso, gli organi professionali hanno dimostrato che “Nero Champagne” poteva evocare sia il vitigno sia il colore, provocando incertezze per il consumatore. L’uso del termine “nero” ha giocato un ruolo chiave: nella cultura vinicola italiana, esso identifica diverse varietà – come “Nero d’Avola” o “Nero di Troia” – e induce una percezione visiva tale da far pensare a uno “champagne nero”, non previsto dal disciplinare. Il giudizio ribadisce che l’identificazione geografica protetta (DOP) non può essere strumentalizzata come strumento commerciale fuorviante, anche se il prodotto è conforme al disciplinare. La decisione segna una svolta importante nella giurisprudenza del diritto dei marchi, ponendosi quale monito ai depositanti di marchi con riferimenti geografici protetti.
Abbiamo contattato lo studio legale DLA Piper, nelle persone di Ginevra Righini ed Elena Varese, che ha assistito il Comitato interprofessionale del vino di Champagne in questa causa. Per le avvocatesse si tratta di una sentenza di grande rilievo per tutte le Dop e Igp, che finora si sono scontrate con una prassi consolidata dell’Euipo, secondo cui un marchio che include o evoca una Dop o una Igp sarebbe ipso facto registrabile, purché limitato a prodotti conformi al disciplinare o a servizi connessi. Secondo i legali la fondatezza di tale prassi è stata smentita dal Tribunale dell’Unione Europea, il quale ha riconosciuto che “Nero Champagne” non è registrabile come marchio neppure se limitato a prodotti conformi al disciplinare della Dop o a servizi correlati. La Commissione dei Ricorsi dell’Euipo ha infatti applicato erroneamente una presunzione assoluta e non ha adeguatamente considerato gli argomenti formulati da Comité Champagne e Inao per dimostrare che l’uso del segno sfrutta la rinomanza della Dop. «Diversi procedimenti pendenti dinanzi all’Euipo, sospesi in attesa della sentenza “Nero Champagne”, verranno ora esaminati alla luce delle chiare indicazioni fornite dal Tue» hanno dichiarato Righini e Varese aggiungendo che «Questa sentenza offre maggiore certezza ai produttori di prodotti certificati, rafforzando la tutela delle Dop e Igp e chiarendo i confini tra Dop e Igp e marchi». Alla nostra domanda se secondo loro l’azienda farà ricorso contro questa sentenza le avvocatesse hanno dichiarato: «Il ricorso dinanzi alla Corte di Giustizia dell’UE potrà essere proposto entro due mesi dalla notificazione della decisione del Tribunale, prorogati di dieci giorni per ragioni di distanza. Considerato che i motivi di ricorso possono riguardare esclusivamente questioni di diritto, riteniamo improbabile che un eventuale ricorso abbia esito positivo.Il ricorso dinanzi alla Corte di Giustizia dell’UE potrà essere proposto entro due mesi dalla notificazione della decisione del Tribunale, prorogati di dieci giorni per ragioni di distanza. Considerato che i motivi di ricorso possono riguardare esclusivamente questioni di diritto, riteniamo improbabile che un eventuale ricorso abbia esito positivo».
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