Nel vino tutti parlano di sostenibilità. Ma quando si arriva alla bottiglia, cala il silenzio. Eppure il solo packaging incide tra il 24 e il 40% nell’impronta ambientale totale di un vino. Di quella quota, oltre l’80% è “colpa” del vetro. Ma tranquilli: abbiamo il tappo compostabile. Intanto però si continuano a produrre bottiglie da 700 grammi per dare un tono al prodotto, per giustificare un prezzo, per vendere – dicono – qualche cartone in più sulla piazza di Chengdu. Bottiglie pesanti, panciute, scolpite, da maneggiare come una clava. Oggetti pensati per comunicare un’idea di lusso che per fortuna non esiste più. La sostenibilità, però, non ce lo scordiamo: è una cosa seria.
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Nel frattempo, parlano i dati: la produzione di vetro richiede forni accesi oltre i 1.500°C, un uso massiccio di sabbia e silicio sempre meno disponibili, e un impatto sul trasporto signficativo. Il riciclo è fondamentale, aiuta, ma non basta. Serve meno vetro. E soprattutto vetro più leggero. Secondo Rabobank, passare da 650 a 420 grammi può tradursi in milioni di euro risparmiati. Su questo fronte, ne trarrebbero vantaggio i produttori di vino, ma anche quelli di vetro che potrebbero fare di questo una bandiera oltre che un risparmio.
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E torna in auge anche l’idea del riuso, e il fenomeno del vuoto a rendere. In Germania funziona perfettamente da anni con il sistema Pfand: bottiglie riutilizzate fino a venti volte, restituzioni al 97% grazie a cooperative che raccolgono, lavano e riconsegnano. Nessuna retorica, solo efficienza. In Italia siamo ancora al palo: basti pensare ai tentativi falliti della Coca-Cola. Eppure qualcosina si muove anche nel vino. Progetti come reWine, Braccia Rese o Rendivetro dimostrano che il riuso è possibile, almeno su scala locale. Con bottiglie standard, entro 60 km, si risparmiano fino a 3,7 kg di CO2 per unità. La tipologia di bottiglia dev’essere condivisa, riconoscibile e qui servirebbe un impegno su scala europea, se non globale.
E poi c’è il nodo etichette: colle indelebili, carta plastificata, adesivi impossibili da staccare. L’etichetta, che dovrebbe raccontare il vino, finisce per impedirne il riuso. Basterebbe una colla idrosolubile, piccoli accorgimenti per stare al passo con i tempi. I più importanti monopoli sugli alcolici – pensiamo al Systembolaget in Svezia, al Vinmonopolet in Norvegia o la SAQ nel Québec – sono passati all’azione. Hanno già fissato il limite massimo di 420 grammi per bottiglia di vino. Nessuna deroga: o si alleggerisce, o non si entra.
Tornando al mondo della birra, le tanto snobbate lattine oggi salvano soprattutto le realtà artigianali: calo drastico di emissioni, trasporto facile, consumo immediato. Il PET piatto può raddoppiare la resa logistica. Ancora, le bottiglie in carta riciclata tagliano le emissioni di sei volte. E chissà quali altri materiali ci riserverà il futuro. Il vetro, sì, lo amiamo anche noi. Ma non è intoccabile. Nel 2025 non puoi più nasconderti dietro un fondo spesso e una spalla alta. Cari produttori, alleggerire la bottiglia non è un rischio, è un investimento. Ed è il minimo sindacale per restare credibili.
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