L'editoriale

Abbiamo spiegato il vino così bene che ormai la gente ha paura di berlo

Tra tecnicismi e pregiudizi abbiamo dimenticato la cosa più semplice: i vini non sono sentenze, sono incontri

  • 07 Settembre, 2025

«Sono al ristorante. Che vino prendo?». Succede sempre più spesso. Una chiamata, un messaggio, magari anche solo un vocale sussurrato. Sempre lo stesso tono. Non si tratta solo di prezzo – anche se il prezzo pesa, e non poco. È la paura di sbagliare. Di essere giudicati dal cameriere, dal tavolo, perfino da se stessi. È quella sensazione di non essere all’altezza. Come se ordinare una bottiglia significasse superare un esame di diritto privato.

Scegliere il vino al ristorante

Se scegliere un vino al ristorante oggi mette in crisi, allora qualcosa si è rotto. O forse peggio: abbiamo spiegato troppo o troppo poco. Tante parole, mille tecnicismi, strati di competenza che tengono lontane le persone normali, quelle che vivono anche senza dire “kimmeridgiano” ogni giorno alle 6 pensando ai suoli dell’Aube. Il vino è diventato una lingua da iniziati, una reliquia da osservare dall’altra parte del vetro. E per paradosso, più se ne parla, meno si beve. E c’è chi si vergogna a chiedere «un bianco fresco che stia bene con il pesce».

Ci siamo costruiti addosso una liturgia che ci ha tolto il bello: la spontaneità, la leggerezza, la voglia di stappare una bottiglia perché sì. Perché è giovedì. Perché c’è una pasta al pomodoro fatta bene. Perché ci va. Perché siamo vivi. Ed è lecito farlo anche senza uno Zalto Universal, un anniversario importante, l’occasione giusta che poi non arriva mai. E intanto le bottiglie invecchiano e si impolverano. E noi con loro.

Calici & Pregiudizi

E poi c’è lui, il pregiudizio. Quello che rovina tutto ben prima di versare nel bicchiere. Quel vino che «già so com’è», anche se non l’hai mai bevuto. Quello che non ti convince perché te ne ricorda un altro. O perché il produttore ti sta sulle scatole. Ma i vini non sono sentenze, sono incontri. E come tutti gli incontri, a volte sorprendono, se glielo permetti.

E i grandi vini, quelli veri, non hanno bisogno di tante presentazioni. Ti parlano prima di essere spiegati, colpiscono senza passare dal glossario. Se un vino è buono lo senti subito. Non nel 2045, non dopo dodici ore di ossigenazione, non al terzo assaggio con playlist in sottofondo. Subito. Poi magari migliora, certo. Ma se non dice nulla oggi, difficilmente parlerà domani.

La gioia immediata del Vermentino

E allora ripartiamo con la gioia immediata del Vermentino fatto bene. E il sorriso spontaneo di Diego Bosoni che, dalla copertina del mensile Gambero Rosso di settembre da poco uscito, parla di vino senza sovrastrutture, con una curiosità sincera e un calice che arriva, convince e se ne va senza fare storie.

Alla fine, chi ha davvero qualcosa da dire lo dice tra un sorso e l’altro. E a quell’amico che mi scrive «che vino prendo?», la risposta è sempre più semplice: «Prendi quello che ti va. Al massimo lo paghi il triplo e ti fa pure schifo».

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