Tutto inizia nei primi anni Duemila, quando la famiglia Lunelli decide d’investire nel Sagrantino e acquisisce alcuni vigneti a Montefalco e Bevagna. E affida la realizzazione della cantina a Pomodoro, che concepisce subito l’idea dell’opera, capace di integrarsi con la natura e celebrare l’arcaicità dei luoghi.
Nel 2006 iniziano i lavori che si concludono nel 2012. La forma richiama il carapace di una tartaruga: animale simbolo di longevità, elemento che accomuna l’opera al Montefalco Sagrantino, il rosso che non invecchia mai. Le crepe che attraversano la superficie della cupola rameica richiamano i solchi del terreno umbro, a simboleggiare il tempo e la sua azione sul vino. Un elemento scultoreo a forma di dardo, di color rosso acceso, si conficca nel terreno aggiungendo quello che si configura come un punto esclamativo nel paesaggio. Il risultato è spiazzante, un’opera surreale, inserita tra le 50 più belle cantine al mondo per il World’s best Vineyards 2024. «Non è un’architettura, ma è una scultura che ospita una cantina. La tartaruga è animale arcaico, lento e longevo, le pecularità del Sagrantino», commenta Camilla Lunelli durante la presentazione.
«Siamo venuti in Umbria perché siamo rimasti stregati dal carattere del Sagrantino, la sua sua struttura, potenza, tannicità. Lo trovo solo lì. La prima annata è stata la 2003, la prima commercializzata la 2005. All’inizio è stato molto difficile, è un vitigno complicato e ostico, è stato un lungo percorso di crescita», racconta Alessandro Lunelli, che si occupa della tenuta. Si è partiti da una selezione massale di sagrantino, i vigneti sono esposti quasi esclusivamente a nord. Cambi nel percorso? Tanti. A partire dall’abbandono dell’uso esclusivo della barrique, così come i tempi di macerazione. «Siamo partiti con vinificazioni solo in accaio e accorciavamo i giorni di estrazione tannica. Con l’arrivo dell’enologo Luca d’Attoma nel 2015 abbiamo iniziato a dosare vinificazioni diverse tra tini di legno da 1000 litri, anfore e accaio. E siamo tornati a macerazioni lunghe e più morbide», continua Alessandro. Più che ammorbidire il carattere del Sagrantino – come fa notare – nel tempo è stato messo a fuoco, maggiormente definito, il suo potenziale di contrasto tannico, con un telaio profondo e mai immediatamente accessibile.
Lasciamo da parte lo Ziggurat, uno dei migliori Rosso di Montefalco, ci concentriamo su un tris di Sagrantino all’interno del laboratorio creativo della fondazione. Il Carapace 2020 si offre fresco e intenso di menta, liquirizia e ribes. La bocca è inizialmente agile, per poi calare una tessitura tannica importante che asciuga leggermente il palato ma non secca. Finale lungo di mandorla amaro, scalpita a dir poco. Ed ecco l’ultimo nato, il Lunga Attesa. Si tratta di una selezione di sagrantino in purezza da un unico vigneto di 30 anni, tirato in meno di 4.000 bottiglie. La 2017 è stata un’annata tragica per il vino italiano, ed europeo, per via di un clima caldo e a dir poco siccitoso. Il vino spiazza per un naso gentile, profumi di tè nero, pepe appena macinato e nocciola.. In bocca ha una pressione tannica cui non siamo più abituati e che non scordi: stratificato, corroborante e profondo. Ha un tono di voce caldo e solenne, poco frutto e tanti richiami. Un infuso di Sagrantino. È il punto di approdo del percorso. Chiudiamo con la prima annata in commercio, il Sagrantino 2005. Profumi di pomodori al sole, peperone e scorza d’arancia, un altro mondo. La bocca ha altra concentrazione e una freschezza acida ancora soprendemente vivida, anche se il vino è meno rifinito. La struttura ha mantenuto energia ma è rimasta un po’ rigida e statica. Dalla sua ha almeno altri 10-15 anni di guizzi.
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