La vendemmia 2023 in Israele sarà ricordata come quella della guerra. Quando un mese fa, le forze armate di Hamas hanno attraversato il confine di Gaza, lanciando i primi attacchi contro gli israeliani, i produttori vitivinicoli stavano per finire la raccolta o avevano appena iniziato i lavori in cantina. Subito, però, è stato chiaro che non si sarebbe andato avanti. Almeno non come prima.
La prima conseguenza diretta della guerra è stata quella di dire addio a molti dipendenti delle cantine richiamati immediatamente al servizio militare. Lo ha fatto l’azienda vinicola Golan Heights che, come racconta Wine Spectator, ha anche visto partire per il fronte il figlio del proprietario, Shai, in visita a casa per il fine settimana.
Ma come lui sono tante le storie che vanno ad intrecciarsi con il vino. Ad oggi sono 300mila per persone arruolate nell’esercito. Tra questi ci sono molti viticoltori che, abbandonate le vigne hanno imbracciato i fucili. Inoltre, molte aziende vinicole impiegano sia israeliani che palestinesi e sono preoccupate per il proprio personale su entrambi i lati del conflitto.
D’altronde si sa, in ogni guerra i primi a pagarne le conseguenze sono i civili e anche le storie vitivinicole spiegano bene l’impatto del conflitto sulla quotidianità. È il caso di Daniel Lifshitz, proprietario della Bourgogne Crown – un importatore di vini pregiati in Israele – i cui nonni sono stati presi in ostaggio da Hamas. Stessa sorte è toccata al figlio di un altro importatore di vino, Shai Wenkart, rapito durante il rave notturno vicino al Kibbutz Re’im. Mika Ran Mandel, proprietaria ed enologa della Mika Winery sulle alture di Golan, ha perso il fratello nell’attacco.
Ci sono, poi, anche le storie di chi in Israele ci era arrivato per lavoro, come i 21 braccianti agricoli tailandesi massacrati da Hamas, e altri 14 presi in ostaggio, e poi rimpatriati in Thailandia.
“Restano lo shock e la tristezza: il vino sembra una cosa molto secondaria in questo momento”, ha detto il Master of Wine israeliano Eran Pick dell’azienda vinicola Tzora, parlando con Wine Spectator 30 minuti dopo essere emerso da un rifugio sotto la sua azienda vinicola: i missili in arrivo erano atterrati nelle vicinanze. Tzora è, infatti, a sole 25 miglia dal confine con Gaza.
La sua non è l’unica cantina finita sotto attacco: un razzo è finito nei vigneti di Domaine du Castel, un’altra azienda vinicola leader nella regione; un altro ha colpito l’azienda vinicola Ramat Negev, nel Negev occidentale, distruggendo un pallet di bottiglie di vino.
A Tzora, quest’anno un quarto del personale addetto alla raccolta proveniva da Gaza, a soli 40 minuti di macchina. “Ero così orgoglioso del nostro team eterogeneo – arabi, musulmani, ebrei ortodossi, abitanti di Gaza, ucraini – che lavoravano tutti insieme” ha raccontato Pick “Sono preoccupato per la nostra attività, per il nostro Paese, per il nostro futuro come comunità. Quando potremo di nuovo lavorare tutti insieme in questo modo? Saremo in grado di ricostruire la fiducia e la sicurezza che abbiamo condiviso?”
Nel frattempo, le vendite di vino israeliano sono prevedibilmente andate giù del 60% sul mercato domestico, con la stragrande maggioranza dei ristoranti chiusi, i turisti in fuga e i residenti che pensano a tutto tranne che a bere.
Ma non si sono fatte attendere le manifestazioni di solidarietà, in primis con l’aumento degli ordini dall’estero, soprattutto Europa e Stati Uniti. E, poi, e l’IWPA- Israeli Wine Producers Association ha lanciato la campagna “Sip in Solidarity” per alimentare questo sostegno: il 10% dei proventi di ogni cassa di vino spedita a novembre e dicembre sarà donato ai soccorsi israeliani.
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