Alla fine รจ arrivato il verdetto finale. Negativo. Quello sul โfamosoโ McDrive di Caracalla che aveva fatto gridare allo scandalo cittadini, associazioni di categoria e amministrazione capitolina che ha dimostrato una certa ambivalenza nella questione, concedendo in prima battuta delle autorizzazioni poi revocate. Una storia di mala burocrazia come se ne vedono spesso, che dimostra โ una volta di piรน โ il labirinto di incertezza in cui si trova chi vuole fare impresa in questa cittร .
Torniamo alla questione fast food a Caracalla, che dura da ormai parecchi anni. Un paio da quando รจ salita agli onori della cronaca, ben di piรน se si guardano le prime richieste di permessi (datate 2015) su cui il marchio McDonald’s era giร presente, e se si considera il tempo necessario al cambio di destinazione d’uso dell’area: 35mila metri quadrati che insistono sull’ex vivaio Eurogarden di via Baccelli, a un passo dal complesso archeologico delle Terme di Caracalla e dalle Mura Aureliane. Il progetto prevedeva circa 10mila metri quadrati targati Mac, “solo” 800 mq di ristorante che avrebbe occupato un capannone giร esistente (da riedificare ma senza nuove cubature), con McDrive, McCafรฉ, una serra, nessuna insegna impattante (come prescritto dalla Soprintendenza per aree con vincolo Unesco), un parco giochi per bambini e orti didattici nell’area esterna di 3mila mq, riservando anche uno spazio per i parcheggi. Insomma: un progetto studiato su misura per far andare giรน ai romani anche l’hamburger con vista sulle rovine. A nulla รจ servito: รจ evidente che questo fast food non s’ha da fare.
Dalle prime battute di questa storia รจ stato evidente che la questione non fosse il degrado e il danno d’immagine (quelli legati allo junk food), altrimenti non si spiegherebbe l’abbandono in cui versano molti luoghi di altissimo valore archeologico. La levata di scudi, in questo caso, pare proprio di ordine ideologico: no al gigante dei panini, anche se รจ l’unica realtร che si รจ fatta avanti per prendersi carico dell’area, come ci aveva raccontato un paio di anni fa Stefano Ceccarelli, uno dei proprietari di Eurogarden; perchรฉ insieme all’impresa qui c’รจ anche una spesa: quella necessaria per riqualificare l’area di via Antoniana, che versa โ quella sรฌ – in condizioni di degrado. Tant’รจ che la presidente del I Municipio, Sabrina Alfonsi, difendeva il progetto (e la sua regolaritร amministrativa) sottolineando come l’arrivo del Mac fosse l’unica possibilitร per non perdere il vivaio e realizzare dei lavori a costo zero per l’amministrazione, aggiungendo che โ nel libero mercato โ un’attivitร ristorativa vale l’altra (anche se esistono regolamenti che mirano alla qualitร delle attivitร nei siti Unesco). Si รจ poi scoperto che sull’area di Caracalla dal 1956 esiste un vincolo che impedisce la realizzazione di nuovi manufatti: quello spazio deve rimanere un’area verde. Insomma: un vero pasticcio, che si traduce in perdita di tempo e di soldi.ย Ovvio che solo una multinazionale come quella degli hamburger puรฒ avere la forza di sostenere la spesa, rimodulare il progetto in maniera tale da rispettare i limiti imposti dai vincoli (dunque riservando meno spazio all’area di vendita) e attendere i tempi che nel Belpaese non sono mai rapidi. Ma anche di affrontare il rischio di un nulla di fatto, come pare ormai certo.
Ci piacerebbe, non lo nascondiamo, che si trovassero altri operatori capaci di prendersi carico di un progetto del genere e di farlo nel pieno rispetto non solo delle regole come รจ sacrosanto, ma della nostra identitร culturale e gastronomica, con una visione che vada oltre l’offerta culinaria, ma guardi anche al bene comune. Auspicio quanto mai difficile da realizzare, anche perchรฉ โ lo abbiamo visto in diverse occasioni โ quando imprenditori virtuosi si trovano, la burocrazia pare volerli mettere alla fuga, riempiendo il loro cammino di inciampi e ostacoli invece che trovare sinergie fruttuose, che farebbero il bene di tutti.
La storia di questo progetto รจ costellata di NO, a partire da quello del Mibact, che a luglio 2019 diffondeva una nota: “Il ministero per i Beni e le attivitร culturali รจ prontamente intervenuto per annullare, in autotutela, la procedura autorizzativa per la costruzione di un fast food all’interno dell’area archeologica delle Terme di Caracalla”, prontamente supportata dall’allora sindaca Raggi che twittava: “Avanti con il MiBAC per stop costruzione fast food nell’area archeologica delle Terme di Caracalla. Le meraviglie di Roma vanno tutelate”. Perchรฉ la questione del fast food di Caracalla aveva scatenato una bagarre, con accuse incrociate tra sindaca, I municipio, Soprintendenza, ma anche cittadini, associazioni di categoria, amministratori: insomma una bella gatta da pelare anche per l’eco mediatica che suscita il marchio McDonald’s quando associato ad aree archeologiche.
Dopo le prime dichiarazioni, il blocco del cantiere e l’apertura di un fascicolo per violazione dei beni paesaggistici, il conseguente ricorso al Tar di McDonald’s che si era trovato a dover interrompere i lavori dopo aver ricevuto l’autorizzazione a procedere. Tentativo inutile: il Tar si รจ espresso a maggio 2020, con un secco NO. McDonald’s non si รจ arreso, tornando alla carica e rivolgendosi al Consiglio di Stato per far valere le autorizzazioni avute dalla Regione nel 2015, cui sono seguite quelle di Soprintendenza e del Campidoglio. Ma l’area in questione รจ vincolata. E l’ultima decisione del Consiglio di Stat pare aver messo la parola fine al progetto.
Non รจ la prima volta che il gigante dei fast food si trova a confrontarsi con le istituzioni, basti pensare a quella volta che รจ nato il fast Food Museo a Marino, a un passo da Roma: in quella circostanza il dialogo con la Soprintendenza archeologia, belle arti e paesaggio per lโArea Metropolitana di Roma, la Provincia di Viterbo e lโEtruria Meridionale ha portato a una sinergia, mettendo in campo un progetto di recupero durato 2 anni con McDonald’s che ha sborsato circa 300mila euro, e la Soprintendenza che si รจ occupata del lavoro tecnico-scientifico. La riprogettazione del ristorante con una struttura โa ponteโ ha consentito di rendere visibili i resti archeologici tramite un pavimento a vetri. Cosรฌ il McDonaldโs di Marino รจ diventato un vero e proprio โristorante-museoโ. Ma di incontri/scontri con le amministrazioni locali interessate a difendere il proprio patrimonio artistico, paesaggistico ed enogastronomico, ce ne sono moltissimi, a Romaย come nel caso di Borgo Pio con le polemiche per la vicinanza dal Passetto e dal colonnato di piazza San Pietro cui รจ seguito l’accordo con lโElemosineria Apostolica per la distribuzione di pasti gratis a bisognosi come segno tangibile di riconciliazione, ma anche a Firenze ย dove il sindaco Nardella e i cittadini si sono opposti allโapertura del punto vendita a โdifesaโ delle attivitร tradizionali del centro storico (malgrado la multinazionale si impegnasse ad acquistare prodotti dalla filiera corta per il 50% del totale secondo il regolamento Unesco): un no che ha spinto Mc Donaldโs a chiedere un risarcimento di mancato incasso pari a 18 milioni di euro, piรน danni di immagine. Del resto โ lo sappiamo โ alla catena fondata nel 1955 in California l’idea del fast food con vista รจ sempre piaciuta. Non รจ un caso che si trovi nei centri storici (e non solo quelli) di mezzo mondo. E che continui a intervenire per migliorare la sua reputazione, chiamandoย testimonial d’eccezione (come nel caso di Bastianich) o designer di grido, annunciandoย packaging completamente riciclabili entro il 2025, menu piรน salutari, menu cruelty free, o progetti antispreco in collaborazione con Sturbucks,ย e cosรฌ via. Che si tratti solo di iniziative volte a (ri)conquistare la fiducia di consumatori oggi piรน esigenti o vera conversione, non รจ dato sapere. Ma forse quel che conta รจ il risultato.
a cura di Antonella De Santis
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