Da tre anni, lo chef americano Anthony Myint competeva tra i finalisti al Basque Culinary World Prize, il premio per i cuochi etici, impegnati a fare sì che la cucina diventi un motore di cambiamento a sostegno della società. E stavolta lo chef californiano quel riconoscimento lo porta a casa, proprio nell’anno in cui il vincitore della kermesse – promossa dal Basque Culinary Center ma diventata itinerante – viene proclamato a San Francisco, in occasione del simposio sul Pensiero sostenibile. Il merito è principalmente dell’organizzazione no profit ZeroFoodprint, che Myint ha cofondato diversi anni fa, per riflettere e far riflettere sulle emissioni di carbonio di cui è responsabile il settore della ristorazione e l’obiettivo di sensibilizzare gli addetti ai lavori con consulenze sull’impatto della singola attività, dal trasporto della materia prima allo smaltimento dei residui.
Lo chef di origini cinesi, che – insieme allo scapestrato Danny Bowien – è anche ideatore e patron del pluripremiato ristorante Mission Chinese di San Francisco (nato sulle ceneri di Mission Street Food, oggi anche a New York, con due sedi, nel Lower East Side e Bushwick), è dunque da tempo schierato in prima linea per portare il suo contributo nella sfida al cambiamento climatico, e oggi oltre 30 ristoranti di tutto il mondo (da Benu al Noma) riconoscono il metodo ZeroFoodprint e lo applicano alla propria realtà. Ma l’impegno dello chef per il recupero di modelli di produzione sostenibili si esplica anche nel progetto The Perennial Farming Initiative: nel 2019, in associazione con lo Stato della California, ha varato il Restore California Programme, per fornire a consumatori e fornitori gli strumenti per avere un’informazione trasparente riguardo all’impatto ambientale dei ristoranti iscritti nell’elenco. Perché un ristorante possa accedere all’elenco deve dimostrare di avere una gestione neutrale per quanto riguarda le emissioni di anidride carbonica (anche per il cibo si può calcolare “l’impronta di carbonio”), oppure appoggiare gli agricoltori della zona nel lavoro di rigenerazione della terra (approfondiremo il tema sul numero di settembre del mensile del Gambero Rosso).
A scegliere il vincitore, proclamato alla Salesforce Tower di San Francisco, è stata la giuria di chef ed esperti internazionali del settore presieduta da Joan Roca, che ogni anno si ritrova per dar seguito all’iniziativa, garantendo al progetto più meritevole un supporto economico di 100mila euro da destinare a una causa o a un’istituzione che dimostri il ruolo sociale della gastronomia. Come peraltro confermano anche le prime dichiarazioni di Anthony Myint, che dell’attivismo in ambito sociale e ambientale ha fatto un motivo fondante del suo lavoro, all’annuncio della vittoria: “Ho iniziato a cucinare perché credo che i ristoranti possano rendere il mondo migliore e diventare padre sette anni fa mi ha davvero ispirato a esplorare ciò che gli chef possono fare sul cambiamento climatico. Da allora, la scienza ha confermato che un terreno sano e una buona agricoltura possono risolvere il riscaldamento globale! Sono incredibilmente onorato di rappresentare ciò che spero sia l’inizio di un movimento molto più ampio e convinto che l’intero sistema alimentare – dai cuochi ai commensali, agli agricoltori, fino ai politici – possa unirsi per creare un sistema rinnovabile. Il ristorante ha l’opportunità di “restaurare” la natura, ripristinando il carbonio che c’era una volta nel terreno”.
Un tema di grande attualità – “e Anthony Myint fornisce strumenti concreti al nostro settore per ridurre l’impatto ambientale ed essere parte attiva degli sforzi collettivi che sono necessari per risolvere questo problema universale” spiega Joan Roca nella motivazione della giuria – che ha avuto la meglio sui pur buonissimi propositi e progetti degli altri finalisti in gara. Nulla di fatto, neppure quest’anno, per l’Italia, che ambiva al premio con Giovanni Cuocci, chef e patron de La Lanterna di Diogene.
a cura di Livia Montagnoli
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