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Giorgione contro i burger vegetali: "Non li chiamate carne"

Che succede se chiedi a Giorgione di assaggiare un Burger vegetale? Noi lo abbiamo fatto. E questa è la sua opinione

  • 13 Novembre, 2024

Li avrete trovati anche voi, tra i banchi dei supermercati o in qualche menu, nascosti tra gli originali e le varianti di pesce. Sono i burger vegetali, simili in tutto e per tutto ai classici burger di manzo (secondo qualcuno anche migliori), così pare. Perché poi alla prova dell’assaggio, qualche differenza c’è. Almeno a sentire uno che di cucina di carne è appassionato, oltre che esperto. Uno che non le manda a dire, come Giorgione (qui per seguire la serie del Gambero Rosso tv Orto e cucina). E proprio lui abbiamo interpellato per avere un giudizio spassionato. Lo abbiamo fatto sedere a tavola, davanti un classico piattone da pub: panino con burger e patatine. Se non fosse per quel dettaglio del burger, senza carne. Lo chiama un «conglomerato urbano poco definito».

Il responso: è commestibile

Iniziamo: «Che hai in mano? Un burger di carne vegetale». E già qualcosa non quadra. «Premesso che se è carne non è vegetale e l’hamburger di norma si fa con la carne, che non è vegetale. Dimmi che è un panino con un agglomerato non ben definito, e lo assaggio uguale». Questo a prima vista sembra un hamburger, ma non lo è. «Che facciamo: vorrei ma non posso?» È solo una premessa, come dice Giorgione, che non ha alcuna intenzione di fermarsi lì. E infatti non si sottrae alla prova dell’assaggio perché «è cibo, e io lo mangio». Responso: «troppo pane!». Solo? «è mangiabile, è cibo, insomma va benissimo così». Tutto a posto, pare, però… Ma il sapore ricorda quello della carne? «NO!».

Le parole sono importanti

Il punto, ribadisce Giorgione, è perché dare a questa cosa un nome che ricorda la carne? Non è una questione meramente provocatoria: qualsiasi siano le ragioni (che chiaramente Barchiesi non condivide!) se non vuoi consumare carne, non dovresti voler eliminare anche la sua idea, il concetto stesso? Che senso ha imitare un qualcosa che si rifiuta? È una domanda che gli onnivori si fanno spesso. Non è così semplice, perché il nome delle cose ha a che fare con un certo immaginario di riferimento, anche se non riesce certo a trasformarne l’essenza. Qualcuno di molto importante una volta ha scritto: «Forse che quella che chiamiamo rosa cesserebbe d’avere il suo profumo se la chiamassimo con altro nome?». Proviamo a fare il ragionamento opposto: un «conglomerato urbano poco definito» comincerebbe a sapere di carne se lo chiamiamo burger? Parola di Giorgione, il Bardo.

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