Negli Stati Uniti, da qualche settimana, si sta combattendo una sorta di “guerra“ simbolica che ha come protagonista il cibo. Nei supermercati Whole Foods e Trader Joe’s a Brooklyn e Acme Markets in Pennsylvania sono stati marchiati, con adesivi, alcuni prodotti come surgelati e hummus provenienti da Israele. Le etichette parlanti lanciano un solo messaggio, quello di «boicottare i prodotti israeliani», perché «contaminati da sionismo e apartheid».
Come racconta il Grub Street, non si conoscono gli artefici di questa protesta silenziosa, eppure incisiva e significativa, ma i dipendenti cercano di eliminare gli adesivi immediatamente nel tentativo di fermare l’azione scorretta.
Oltre alle parole, anche il colore non è stato scelto a caso: le etichette sono gialle, colore che fa riferimento alla Stella di David indossata (senza consenso) dagli ebrei durante il Terzo Reich.
A essere vandalizzati sono l’hummus di marca Sabra – azienda adesso di proprietà di PepsiCo e del produttore israeliano Strauss Group – , i surgelati di Dorot Gardens che appartiene al Kibbuz Dorot a sud di Israele. Come specifica ancora Grub Street, questi non sono i primi episodi di boicottaggio dei prodotti israeliani: esiste un movimento, il BDS (Boycott, Divestment, Sanctions), che ha intrapreso azioni similari anche nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania.
La copertina del nostro ultimo numero di Gambero Rosso è dedicata proprio all’hummus un piatto controverso, consumato in vari paesi e non solo in Israele, come racconta Sonia Ricci nell’articolo: «L’hummus è un punto fermo, con variazioni regionali, in Libano, Palestina, Siria, Giordania, Israele ed Egitto. Ma lo si può mangiare anche in Turchia e Grecia. Si bisticcia animosamente su chi lo faccia più buono. […]. L’ubiquità dell’hummus può farlo eleggere a piatto simbolo di una forza unificante, o viceversa a protagonista di un’appropriazione culturale».
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