Con cadenza annuale, il ponderoso lavoro di raccolta e analisi dei dati svolto da Roberta Garibaldi restituisce una interessante fotografia sull’evoluzione e le tendenze del turismo enogastronomico italiano: 735 pagine per delineare l’offerta del sistema Italia e confrontarla con la proposta turistica degli altri Paesi d’Europa, ma anche per tracciare l’identikit del turista internazionale tipo, per intercettare desideri ed esigenze della domanda. Sull’offerta italiana, invece, si concentra la sezione del Rapporto 2020 (presentato a Milano con qualche giorno d’anticipo rispetto al BIT) che invita a riflettere sulle potenzialità dell’enogastronomia nell’indirizzare i flussi turistici che premiano l’Italia come destinazione dotata di molte frecce al suo arco. Come la buona tavola e una cultura alimentare che attrae visitatori da tutto il mondo.
Dal 2016, l’interesse in questo senso è cresciuto in modo costante. I turisti interessati all’enogastronomia (il 53% dei viaggiatori internazionali) sono al 50% “onnivori”, cercano di mettere insieme esperienze memorabili di vario tipo, e l’enogastronomia, con il suo duplice profilo emozionale e culturale, soddisfa al meglio i loro bisogni. Meglio però se in abbinamento con altre attività ludiche e culturali: per questo, i turisti internazionali interpellati si definiscono “eclettici” nella scelta delle esperienze, eccezion fatta per i francesi, particolarmente interessati al tema dell’autentico, del locale e del gourmet. Dunque, su cosa deve puntare oggi l’Italia per intercettare il viaggiatore in cerca di esperienze enogastronomiche?
Il cibo di strada è l’attrazione più ricercata sul web, con i food truck che si piazzano in pole position tra le esperienze col cibo più vissute in Italia dai turisti stranieri. Come del resto la pizza, traino della gastronomia italiana nel mondo (il suggerimento degli esperti è quello di investire sul tema, ideando, per esempio, un museo dedicato alla pizza, sul modello dei numerosi musei del cibo già operativi in Italia). Ma attirano l’attenzione anche ristoranti e bar storici, come pure le dimore storiche che ospitano aziende di produzione agroalimentare. Al contempo l’Italia può giocarsi la carta del coinvolgimento diretto del turista appassionato di cibo: molto ambite sono le visite ai produttori (non solo cantine, già molto avanti nel formulare un’offerta adeguata), e frequentati da tanti turisti stranieri i corsi di cucina amatoriali. L’Italia d’altronde deve essere consapevole delle sue grandi potenzialità. Nel confronto con i maggiori competitor europei, l’enogastronomia tricolore risulta vincente sotto diversi aspetti: per numero e fama di produzioni di eccellenza (molto ricercati sul web sono i nostri formaggi – gorgonzola, parmigiano reggiano, pecorino – ma anche piatti tipici regionali, come l’ossobuco e gli arancini), crescita di aziende vitivinicole e aziende olearie, imprese di ristorazione (Lombardia in testa, mentre alla Toscana spetta il primato per numero di agriturismi), musei del gusto, birrifici e città creative riconosciute dall’Unesco per il valore enogastronomico.
Ma c’è un però. È sempre il confronto con i competitor europei a evidenziare il punto debole dell’Italia: gli altri sono più capaci di valorizzare le proprie risorse, offrendo servizi e attività mirate a promuovere il patrimonio enogastronomico, e lavorando in modo più efficace sulla comunicazione. In Italia, invece, spesso si riscontra carenza d’informazioni sia nei siti ufficiali delle realtà interessate che sui portali regionali. E infatti i tour operator stranieri giudicano molto valida l’offerta, ma criticano la difficoltà di reperire informazioni ed effettuare prenotazioni. L’area più dinamica, per quel che riguarda il business del turismo enogastronomico, è il Centro-Sud, che negli ultimi tempi si è dimostrato più attento a implementare e diversificare l’offerta.
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