Quattro anni vissuti nell’ombra, senza documenti e con la paura costante di essere scoperto. Poi il riscatto. È la storia di Juan Lema, chef e patron di Trattoria Mirta, una delle realtà più amate della ristorazione milanese. Non solo un maestro ai fornelli, ma un uomo partito da zero con il sogno di una vita migliore. Una testimonianza di umanità e integrazione narrata con forza e chiarezza a Vanity Fair, a cui il cuoco ha raccontato la sua esperienza «da clandestino» arrivato dall’Uruguay. «Bisogna dare una mano a chiunque arriva in Italia. Si chiama umanità», ripete, in un momento in cui il dibattito pubblico si infiamma in vista del referendum sulla cittadinanza.
Quando Juan sbarca a Milano, la città è un territorio sconosciuto e ostile. Senza documenti, senza certezze, si confronta con una quotidianità fragile, fatta di piccoli lavori e grandi paure. Ma la sua passione per la cucina e la determinazione a costruire un futuro lo spingono a non arrendersi. «Potevo anche andare in Galizia, terra di mio padre ma volevo venire da voi, magari per pochi mesi, e poi tornare a casa. E sono rimasto qui a creare la mia vita», racconta. Così, quella che poteva essere una condanna è diventata la scintilla di un percorso di successo. Trattoria Mirta, nata dalla passione per la cucina tradizionale italiana e l’amore per i prodotti locali, è oggi diventata un luogo dove il cibo racconta storie di integrazione e condivisione. Un simbolo di eccellenza gastronomica e punto di riferimento per chi crede nel valore della diversità.
«Ho fatto quattro anni da clandestino – ha raccontato – iniziando subito a fare il cuoco, ma non ho mai avuto problemi: dovunque andavo, forse anche per una certa affinità tra l’Italia e il Sudamerica, sono sempre stato accolto e trattato bene».
È anche per questo che il cuoco uruguaiano, intervistato da Vanity Fair, si è schierato con forza a favore di un’Italia più inclusiva nel dibattito politico su immigrazione e cittadinanza in vista del voto dell’8 e 9 giugno. «Il referendum sulla cittadinanza? Sono favorevole, perché credo che chi vive e lavora qui da anni debba avere il diritto di sentirsi parte di questa società. Non è solo una questione legale, ma di dignità umana». Per Lema, la cittadinanza è un riconoscimento fondamentale che va oltre la burocrazia: «Non si tratta solo di documenti, ma di riconoscere il contributo che ognuno può dare». Ho fatto quattro anni da clandestino, iniziando subito a fare il cuoco, ma non ho mai avuto problemi: dovunque andavo, forse anche per una certa affinità tra l’Italia e il Sudamerica, sono sempre stato accolto e trattato bene.
Lo chef lo sa bene e non ha paura di dirlo, sottolineando come dietro ogni migrante c’è un potenziale da valorizzare. La sua esperienza di immigrato clandestino, superata con coraggio, rende così le sue parole un monito contro i pregiudizi : «Dare una mano a chi arriva non è un favore, è un atto di umanità che ci arricchisce tutti». Un’ esperienza che è un invito a guardare l’immigrazione con occhi nuovi, a riconoscere il valore di chi sceglie l’Italia come casa e a celebrare la bellezza di un paese che, quando vuole, sa accogliere.
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