L’ira del critico Raspelli dopo il licenziamento: "Cacciato da Gedi senza neanche una telefonata. La ristorazione italiana è in malora"

5 Gen 2024, 16:28 | a cura di
Uno dei decani della critica gastronomica non collaborerà più con la Stampa e Il Gusto dopo quasi quattro decenni. "Non saprò mai se mi hanno cacciato per contenere i costi o se c’è un altro motivo", il suo commento

Il canto del cigno di Edoardo Raspelli è una ammirata recensione (ma, come al solito, è più un racconto, un mix di sapienza culinaria e scrittura) del locale a Viareggio di Henry Prosperi, allievo di Bocuse e Ducasse (“Ne ha fatta di gavetta; ne ha studiato di sala e di cucina prima di arrivare qua, in un piacevole angolo di questa città, cuore di estate e Carnevale!”).

Sui siti di Repubblica, del Secolo XIX e della Stampa, sezione “Il Gusto” la recensione dell’Henry Restaurant porta la data del 4 gennaio, ore 8.28. La stessa data della pec con la lettera di licenziamento arrivata a Raspelli da Gedi, il colosso del gruppo Fiat che possiede i tre quotidiani. Quattro ore dopo l’istante in cui il suo articolo veniva messo online, uno dei più famosi critici gastronomici italiani veniva messo alla porta "nel contenimento delle spese di collaborazione». Fine di un’avventura durata decenni.

Senza neppure una telefonata

«Di chi è la firma?», chiede Raspelli. «Non si capisce, firma illeggibile. So che il direttore del Gusto si chiama Luca Ferrua ma non so che faccia abbia, che voce abbia, in questi anni ho cercato decine di volte di parlarci senza riuscirci, non risponde alle telefonate, non risponde alle mail». Forse però stavolta una telefonata poteva farla. «Lei lo ha detto».

Avevano provato prima ad abbassarle il compenso? «Macchè, è stato un fulmine a ciel sereno. Poi c’era poco da ridurre, magari non prendo i quindici euro ad articolo che si usano adesso, ma neanche chissà quale cifra, alla fine non recuperavo più neanche le spese di viaggio e del ristorante. Leggo che la Fiat ha problemi, che la Juve ha problemi, ma non saprò mai se mi hanno cacciato davvero per contenere i costi o se c’è un altro motivo». 

La saga del Raspelli critico non si chiude qua, ovviamente. Va avanti il Raspellimagazine, continuano le serie in tv L’Italia che mi piace. In questo Raspelli è uomo del suo tempo, sa che la stroncatura - il genere che lo ha reso celebre e temuto - è divertente ma non rende: e così il suo magazine preferisce raccontare cose belle, come la modella curvy Silvia Sonnino che diventa miss Cioccolato a Borgomanero o come sue eterne passioni sparse per il paese come la Locanda Contemporanea di Caltignaga («le moderne, immacolate luminose salette», gozzaneggia Raspelli).

Non di soli lettori vive l'editoria

Che oggi l’editoria non possa campare di soli lettori lo sa bene anche lui, e cliccando su “porta la tu attività su Rapellimagazine” si viene indirizzati alle “informazioni editoriali-commerciali”, che è fin troppo chiaro cosa sono. Ma lui, nell’animo, è rimasto sempre quello: il viaggiatore curioso e un po’ sulfureo che si aggirava per l’Italia alla caccia dei falsi miti. «Merito di Cesare Lanza che mi disse: vai e racconta anche le cose che non vanno. Furono anni memorabili». A un certo punto, però, lei si è ammorbidito. «Perché le cose erano migliorate”. E adesso? «Adesso è un momento tragico».

La ristorazione è in malora

E rieccolo, il terribile Raspelli, il fustigatore indomito. Perché sarebbe un momento tragico? «Ma non vede cosa accade in giro? La ristorazione italiana è andata a Patrasso, è andata in malora. E’ in mano agli esibizionisti che inventano piatti con l’unico obiettivo di scioccare, accostando ingredienti che vengono da chissà dove, intanto la gente va sempre meno al ristorante, abbiamo una realtà di menu corti e di ristoranti vuoti. Insieme alla cucina va a Patrasso la sala, è un disastro totale, vieni trattato come un coglione ignorante, arriva un piatto e ti subissano di chiacchiere, ci abbiamo messo dentro questo questo e quest’altro, lo abbiamo cotto così e cosà… stesse cose sulla carta dei vini, ordini un barbera qualunque e stanno a raccontarti tutto, la vigna tale, l’appezzamento tale, le ore di esposizione al sole. Ma chissenefrega, io sono qui per mangiare e bere». 

Però, Raspelli, il mondo cambia. Si sperimenta, si evolve. «La fantasia va benissimo, io sono un adoratore della fantasia, ma dietro ci deve essere un’idea, un ragionamento. Gualtiero Marchesi aveva fantasia. Pierangelini è un altro esempio di fantasia ben indirizzata, penso alla sua passatina di ceci e gamberi. A mandarmi fuori dai gangheri è l’esibizione a tutti i costi di una creatività immotivata. Se vado da Marco Sacco che al Piccolo Lago mette la carpa cruda nel dessert, ecco: a me fa solo ribrezzo».

Raspelli viene sfrattato, con quella pec dalla firma illeggibile, da un mondo che non sente più suo, «una catastrofe» fatta di chef senza bussola, senza passione per i fornelli. Forse perché stanno troppo tempo in tv? «Macchè, la televisione non c’entra. Tutte le volte che sono andato da Vissani l’ho trovato al ristorante. L’ultima volta da Moreno Cedroni a Senigallia  lui c'era, ovviamente mi ha riconosciuto, abbiamo chiacchierato e ho mangiato benissimo;. ma la volta prima non c’era lui, sono andato come un cliente qualunque e ho mangiato ugualmente bene, perchè il bravo patron è quello che addestra la squadra a lavorare bene anche senza di lui».

In questo mondo che ha perso l’anima si aggirano elogiatori incompetenti e prezzolati, «siamo in balia degli influencer, oggi anche se esce una nuova aspirina lo sappiamo dall’influencer che l’ha testata». Di cibo ne capiscono? «Mi capita di leggere le loro recensioni e chiedermi: ma come si fa? La critica enogastronomica oggi non esiste più. Sui vini si sfiora il ridicolo, lei da quanto tempo non legge che un vino è cattivo, che non vale quello che costa, che ha una ossidazione completamente sbagliata?».

Non si salva proprio nessuno dei critici di oggi?
«Ne salvo due. Uno è Visintin, che nessuno sa che faccia abbia».

E l’altro?

«L’altro sono io».

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